Il licenziamento in gravidanza è vietato dalla legge, con l’obiettivo di tutelare le lavoratrici madri da un punto di vista economico. Ci sono però delle eccezioni a questa regola. Vediamo quindi cosa succede nel caso in cui venga licenziata una donna incinta.
La legge italiana propone diverse tutele in favore della maternità, anche per quanto riguarda il rapporto di lavoro. Il legislatore, infatti, ha cercato di evitare che un evento straordinario come la nascita di un bambino possa diventare un problema per la vita professionale della donna.
Tra le varie tutela, quindi, c’è anche la protezione dal licenziamento in gravidanza e nel periodo successivo, fino al compimento di un anno del figlio.
In passato, infatti, si è verificato spesso che le lavoratrici perdessero il lavoro in coincidenza con la gravidanza.
Va sottolineato comunque che non si tratta di un divieto assoluto dato che esistono alcuni eccezioni alla regola, come vedremo nelle prossime righe.
Il licenziamento in gravidanza è vietato, in particolare non è possibile licenziare una lavoratrice fino al primo anno di età del bambino.
Il riferimento normativo è dato dall’art. 54 del decreto legislativo 151/2001, poi modificato dal decreto legislativo 115/2003.
Il divieto inizia dal momento del concepimento, ma dato che non è sempre facile individuare il momento esatto, si applica la presunzione legale che prevede che esso avvenga 300 giorni prima della nascita.
Ad ogni modo, ci possono essere delle eccezioni, se si verificano i seguenti fatti:
Fino ad ora abbiamo detto che, la legge tutela in diversi modi le donne in stato di gravidanza, anche in merito al posto di lavoro. E’, infatti impossibile licenziare una lavoratrice dal momento del concepimento fino al compimento di un anno di età del figlio.
Esistono anche delle eccezioni, come abbiamo sottolineato, per proteggere anche gli interessi del datore di lavoro nel caso in cui la dipendente si comportasse in modo non lecito, o in caso di chiusura dell’attività.
Ma se il licenziamento è illegittimo cosa può fare la donna per fare valere i propri diritti?
Se il licenziamento in gravidanza è nullo, come stabilito dall’art. 18 della legge 300/1970, significa che la donna ha il diritto ad essere reintegrata nel posto di lavoro in modo immediato, ricevendo anche le retribuzioni che ha perso durante il periodo di astensione, compresi contributi previdenziali e assistenziali.
Il provvedimento è nullo se viene intimato nel periodo protetto, anche nel caso in cui l’azienda fosse ignara dello stato gravidico della lavoratrice.
Ovviamente la donna, d’altro canto è tenuta a presentare la certificazione idonea per dimostrare le sue condizioni al momento del licenziamento.
Il licenziamento collettivo, ovvero di più lavoratori, può essere fatto seguendo alcune regole precise. In particolare si tratta di un’operazione concessa soltanto alle aziende con più di 15 dipendenti, e si verifica quando vengono licenziati almeno 5 soggetti in un arco temporale di 120 giorni.
Può avvenire per i seguenti motivi:
In pratica ci devono essere delle congiunture esterne, negative, che provocano una diminuzione degli affari e quindi la necessità di modificare gli assets produttivi.
Si deve trattare di una scelta obbligata e non di una decisione fatta per motivi opportunistici.
Ad ogni modo, il datore di lavoro non può decidere da solo, ma deve rispettare una procedura specifica.
La riduzione del personale deve essere decisa e discussa insieme alle parti sociali, perciò si deve avviare un tavolo di trattative. L’obiettivo è trovare un accordo in merito, e magari soluzioni alternative al licenziamento.
La cosiddetta fase sindacale non può durare più di 45 giorni e può chiudersi positivamente se si trova un accordo, ad esempio:
La decisione, in ogni caso, deve essere approvata dalla maggioranza dei dipendenti, con un voto diretto o legato alla rappresentanza sindacale alla quale aderiscono.
Va sottolineato anche che, non è possibile scegliere in maniera discrezionale quali soggetti licenziare o meno. Se non è stato siglato alcun accordo con le parti sociali, si deve fare riferimento a quanto stabilito dalla legge.
Si tenere in considerazione questi aspetti:
In pratica devono essere selezionati i lavoratori che subirebbero le minori conseguenze negative in caso di perdita del lavoro, senza effettuare discriminazioni.
A tal proposito va sottolineato che non è possibile il licenziamento in gravidanza, essendo tale categoria di lavoratrici protetta dalla legge.
Nei paragrafi precedenti abbiamo analizzato cosa accade in merito al licenziamento in gravidanza, sottolineando quali sono le tutele previste dalla legge, ma cosa accade quando un bambino viene adottato?
Bisogna considerare che, anche in caso di adozione la madre ha bisogno di un periodo di tempo per inserire il bambino nella nuova famiglia, quindi di fatto ha gli stessi diritti di una donna in stato di gravidanza.
Il divieto di licenziamento, quindi, si applica anche fino ad un anno dall’adozione o dall’affidamento del minore. In particolare se si tratta di un’adozione internazionale il divieto inizia dal momento in cui viene comunicata la proposta di incontro con il bambino, fino a un anno dall’arrivo nella nuova famiglia.
Vediamo come si espressa ultimamente la giurisprudenza in merito alla perdita di lavoro della lavoratrici incinta.
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