Il licenziamento per scarso rendimento, forse in pochi lo sanno, esiste davvero, seppur in determinati e specifici limiti.
Il rapporto che intercorre tra il datore di lavoro e il lavoratore è di tipo economico e fiduciario. Il lavoratore viene infatti retribuito dal datore di lavoro per svolgere, al meglio delle sue competenze, una serie di compiti. Quando il vincolo fiduciario tra le parti viene meno, il datore di lavoro può arrivare al licenziamento per scarso rendimento, detto anche per giusta causa o giustificato motivo. Il licenziamento si colloca tuttavia, tra le massime sanzioni che il datore può adottare a seguito di un’intollerabile condotta.
Lo scarso rendimento si riferisce dunque alla scarsa produttività del lavoratore. Si verifica quando la prestazione del lavoratore si discosta dai parametri di diligenza e professionalità stabiliti dal datore di lavoro per un apprezzabile periodo di tempo.
Lo scarso rendimento discende dalla condotta del dipendente che non esegue la prestazione con diligenza. Diventa però difficile attribuire alla diligenza una definizione giuridica certa. Per questo motivo la giurisprudenza ha evidenziato alcuni elementi la cui esistenza costituisce prova dello scarso rendimento del lavoratore.
È il datore di lavoro, in ogni caso, a dover
dimostrare l’inadempimento notevole degli obblighi assunti
e definire così, sulla base dei quattro elementi sopra citati, il verificarsi di uno scarso rendimento lavorativo. Per procedere poi successivamente ad avviare una procedura di licenziamento.
Nel contratto di lavoro subordinato, infatti, il lavoratore non si obbliga al raggiungimento di un risultato, ma alla messa a disposizione del datore delle proprie energie, nei modi e nei tempi stabiliti, con la conseguenza che il mancato raggiungimento del risultato prefissato non costituisce di per sé inadempimento, giacché si tratta di lavoro subordinato e non dell’obbligazione di compiere un’opera o un servizio (lavoro autonomo). Ove, tuttavia, siano individuabili dei parametri per accertare che la prestazione sia eseguita con la diligenza e professionalità medie, proprie delle mansioni affidate al lavoratore, il discostamento dai detti parametri può costituire segno o indice di non esatta esecuzione della prestazione (Corte di Cassazione, sentenza 20 agosto 1991, n. 8973)
Aggiungono inoltre:
È dunque evidente che, per stabilire se tale segno dimostri univocamente che vi è stato inadempimento, è necessario valutare la condotta nel suo complesso per un’apprezzabile periodo di tempo, tenendo bene a mente che il mancato raggiungimento del parametro non va confuso con l’oggetto dell’accertamento, che è costituito dall’inesatta o completa o mancata esecuzione della prestazione (punto n. 9).
Nel periodo di riferimento (ottobre 2008 e marzo 2009), i giudici hanno rilevato come la produttività è risultata del tutto insoddisfacente. Prendendo in considerazione mansioni specifiche, come la gestione operativa degli ordini, hanno valutato che il dipendente licenziato gestiva tra i due e i quattro ordini alla settimana, a fronte di una media di duecento ordini alla settimana gestiti dai colleghi. Inoltre, non svolgeva le altre mansioni richieste come la gestione dei contratti, dei listini e gli incontri con clienti e fornitori.
La Corte di Cassazione, dopo un’attenta analisi, ha definito la sussistenza dello scarso rendimento poiché si era verificata «una totale sproporzione tra l’attività lavorativa del ricorrente rispetto a quella dei suoi colleghi, anche di inquadramento inferiore e di minore anzianità». Stabilendo così legittimo il licenziamento.
Questa vicenda ha portato all’affermazione del principio di diritto con la sentenza della Cassazione n. 14310 depositata il 9 luglio 2015.
In alcuni rapporti di lavoro i minimi di produzione vengono stabiliti tramite clausole di rendimento o di risultato, inserite nei contratti di lavoro. Tali clausole vengono ritenute legittime dalla giurisprudenza in quanto rappresentano un elemento accessorio del contratto di lavoro e non influenti ai fini della qualificazione giuridica del rapporto.
L’utilizzo di clausole di rendimento è particolarmente frequente per quelle figure lavorative che operano al di fuori della sede aziendale.
Tuttavia, la Corte di Cassazione stabilisce che il mancato raggiungimento del risultato non legittima automaticamente il licenziamento per scarso rendimento del dipendente. Le prestazioni poco soddisfacenti e uno scarso risultato devono infatti essere valutati in relazione alle prestazioni degli altri lavoratori e in un determinato arco di tempo.
Il licenziamento viene definito per giustificato motivo oggettivo quando non dipende dal comportamento colpevole del lavoratore. Nel caso di licenziamento per scarso rendimento, esso può dipendere da circostanze indipendenti dalla colpa del lavoratore.
Le cause oggettive più frequenti:
Il licenziamento si definisce invece per giustificato motivo soggettivo quando la colpa del licenziamento è imputabile al lavoratore. In questo caso l’azienda è tenuta a invitare il dipendente a migliorare il proprio scarso rendimento inviandogli una lettera di contestazione.
Nel caso il licenziamento per scarso rendimento avvenisse senza giustificato motivo oggettivo o giustificato motivo soggettivo, è possibile fare ricorso.
Una volta ricevuta la lettera di licenziamento è necessario attivarsi subito per impugnarla, ovvero per contestarla per iscritto a mezzo raccomandata a.r. o a mezzo pec, inviate all’azienda.
La contestazione dovrà precisare l’illegittimità del licenziamento intimato e la messa a disposizione del lavoratore stesso a riprendere immediatamente l’attività lavorativa. L’impugnazione deve essere fatta entro 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento, altrimenti non sarà più possibile contestarlo in alcun modo, anche se palesemente illegittimo.
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