La remissione del debito avviene quando il creditore rinuncia al proprio diritto, in tutto o in parte, di fatto liberando dai vincoli il debitore. Il soggetto inadempiente può opporsi all’atto, per una questione di orgoglio, volendo a tutti costi provvedere al pagamento delle somme dovute.
Negli ultimi anni, complice la grave crisi economica che ha colpito anche il nostro Paese, si parla molto di recupero crediti e delle azioni messe in atto dai creditori per ottenere le cifre di cui hanno diritto.
Chi non effettua i pagamenti entro le scadenza pattuite rischia, molto spesso, di essere coinvolti in azioni legali, a volte con conseguenze anche pesanti.
In genere la prima mossa è una lettera di diffida con la quale si cerca di convincere l’obbligato a procedere al saldo, successivamente si può ricorrere a un decreto ingiuntivo e infine al pignoramento dei beni del soggetto.
Non si parla molto, invece, della cosiddetta remissione del debito, ovvero della possibilità che il creditore rinunci al proprio diritti, liberando il debitore dall’adempimento dell’obbligo. Vediamo di cosa si tratta.
E' la rinuncia fatta dal creditore in merito al proprio diritto di ricevere un pagamento da parte del debitore. In altre parole, il soggetto inadempiente viene liberato da tutti gli obblighi.
Tale decisione è valida dal momento in cui viene comunicata al debitore, ovvero il debito si estingue, anche se l’obbligato non ha adempiuto alla prestazione.
Va subito sottolineato che non è possibile revocare la remissione, o meglio ciò non è possibile se è già stato informato l’interessato. Si può cambiare idea, invece, se la dichiarazione non è ancora arrivata a destinazione.
Una volta venuto a conoscenza della situazione, il debitore infatti può sentirsi libero e dormire sonni tranquilli dato che non deve più eseguire alcun adempimento. E’ sempre consigliabile ottenere una dichiarazione scritta, da potere utilizzare come prova in caso di contestazioni.
In alcuni casi, anche se sembra strano, il debitore può opporsi a tale decisione, dichiarando di non voler approfittare di tale possibilità. Si tratta certamente di una ipotesi remota, ma di fatto può accadere, magari per una questione di orgoglio, dimostrando di potere restituire il denaro.
Ad ogni modo essa può essere:
Come abbiamo accennato la volontà dell’obbligato non è un elemento indispensabile, dato che il tutto di perfeziona per iniziativa di chi vanta un credito, a prescindere dall’accettazione della controparte. Per essere valida però, la decisione deve essere comunicata all’interessato, e solo in seguito egli potrà godere degli effetti liberatori della stessa. Detto ciò il debitore può comunque scegliere di rinunciare a tale opzione.
In seguito ad un’azione di questo tipo si estinguono anche le garanzie reali e personali, come i pegni, le ipoteche e le fideiussioni collegate. Non è però vero il ragionamento contrario, ovvero la rinuncia alle garanzie non implica la remissione.
Inoltre, va sottolineato che ci sono alcune differenze con la rinuncia al credito. La dottrina, infatti, non identifica propriamente le due situazioni. La rinuncia non sempre porta all’estinzione dell’obbligazione. Ad esempio in caso di rinuncia da parte di un concreditore solidale, non viene estinto il credito, ma accresce il diritto degli altri concreditori.
Innanzitutto il soggetto che può effettuare la remissione deve avere i requisiti soggettivi di capacità, utili per compiere negozi giuridici, come nel codice civile.
In particolare l’art. 774 c.c. sottolinea che per effettuare donazioni o altre operazioni inerenti ai propri beni un soggetto deve avere la piena capacità di farlo:
Non possono fare donazione coloro che non hanno la piena capacità di disporre dei propri beni [2, 394, 424, 427 c.c.]. È tuttavia valida la donazione fatta dal minore e dall'inabilitato [776, 785 c.c.] nel loro contratto di matrimonio a norma degli articoli 165 e 166.
Le disposizioni precedenti si applicano anche al minore emancipato autorizzato all'esercizio di una impresa commerciale (3)[397, 2195 c.c.].
Quindi, il soggetto che rimette un debito deve avere la capacità per compiere negozi giuridici.
Quanto affermato in merito alle donazioni, perciò, si riferisce anche ad altri operazioni.
In genere l’incapace non può compiere in autonomia gli atti di straordinaria amministrazione, ovvero quelli che possono determinare un cambiamento del patrimonio. Risulta ovvio che, rinunciare a parte del denaro di cui si ha diritto rientra in tale fattispecie.
Considerando l’elemento oggettivo inerente a tale pratica, possiamo dire che può essere rimesso qualsiasi debito, ad esclusione di alcuni espressamente vietati per legge, ad esempio quelli alimentari, descritto dall’art. 447 c.c.:
Il credito alimentare non può essere ceduto [1260].
L'obbligato agli alimenti non può opporre all'altra parte la compensazione [1241], neppure quando si tratta di prestazioni arretrate [545 c.p.c.]
o inerenti a diritti dei lavoratori, quindi ferie o riposo settimanale come afferma l’art. 2113 c.c. :
Le rinunzie [1236] e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile, non sono valide.
La giurisprudenza discute in merito alla possibilità di remissione del debito futuro. In genere c’è un atteggiamento positivo in merito, anche considerando quanto afferma l’art. 1348 c.c.:
La prestazione di cose future [820 2] può essere dedotta in contratto, salvi i particolari divieti della legge
Ovviamente in alcuni casi particolari questo non è ammesso, ad esempio se si tratta di obbligazioni facenti parte di una successione non ancora aperta, quindi ci sarebbe il divieto dei patti successori.
Come abbiamo accennato in apertura di questo articolo, il debitore può opporsi alla decisione di estinguere l'obbligazione, comunicando la propria decisione entro un congruo termine.
L’art. 1236 c.c., afferma infatti che:
La dichiarazione del creditore di rimettere il debito estingue l'obbligazione quando è comunicata al debitore salvo che questi dichiari in un congruo termine di non volerne approfittare
Si tratta di una situazione che si verifica di rado, e quasi sempre avviene perchè il soggetto intende adempiere ai propri obblighi, per orgoglio personale.
A riguardo la giurisprudenza ha maturato diverse tesi, volte a definire tale pratica, vediamole di seguito:
Nel codice civile, come abbiamo visto, si fa riferimento alla necessità di decidere entro un “congruo termine”, ma non viene specificato come determinare lo stesso.
In molti sostengono che, dal momento che si tratta di un contratto con obbligazioni, si deve fare riferimento a tale disciplina, quindi il termine è quello richiesto dalla natura stessa degli affari.
Nei paragrafi precedenti abbiamo visto che, in seguito a tale decisione, è possibile estinguere tutto il debito, e l’obbligato non più vincolato in alcun modo, se non effettua l’opposizione.
In alcuni casi, comunque, ci può essere una remissione parziale, quindi si estinguerà soltanto una parte dello stesso.
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