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Concorrenza sleale: cosa dice la legge italiana?

La concorrenza sleale è un reato commesso da un imprenditore quando si avvale di tecniche non ammesse dalla legge per ottenere dei vantaggi sui propri concorrenti. Si tratta di pratiche scorrette in grado di provocare danni all’economia italiana in generale.

Ogni imprenditore italiano, ma non solo, pensa costantemente alle azioni che deve intraprendere per riuscire ad essere, o apparire, migliore della concorrenza.

Essere titolari di un’attività oggi è molto complicato e sono molte le sfide che bisogna intraprendere per riuscire a rimanere a galla. Le tasse da pagare sono molte e i consumatori non sono propensi all’acquisto come decenni fa, a causa della crisi che ha cambiato profondamente abitudini e stili di vita.

La strada per arrivare al successo è molto lunga, è necessario un duro e costante lavoro per ottenere risultati concreti e per aumentare le entrate economiche.

Risulta ovvio che le aziende che si trovano a dover conquistare la fiducia dello stesso tipo di consumatore, nello stesso settore di mercato, possano competere in modo molto acceso. Si tratta anzi di “guerre” sane, se fatte nel rispetto delle norme vigenti. Con lo scopo di superare i propri competitors, infatti, vengono realizzati nuovi prodotti o servizi, o migliorati notevolmente quelli esistenti.

Il problema nasce quando viene praticata la cosiddetta concorrenza sleale, cercando di confondere i clienti, comunicando in modo disonesto e non rispettando le regole imposte dal mercato stesso.

Cos’è la concorrenza sleale?

Secondo le regole insite nel mercato economico ogni azienda deve mettere in atto delle strategie per potere vendere più dei propri concorrenti. Ogni imprenditore cerca di fare i propri interessi per riuscire ad avere una fetta più grande del mercato, in un sano gioco competitivo nel quale i consumatori sono coloro che ne guadagno di più, avendo più margine di scelta.

In alcuni casi però, esistono delle limitazioni alla concorrenza, soprattutto quando poche grandie imprese gestiscono la vendita di determinati beni o servizi, generando un oligopolio.
Altre volte, invece, i cosiddetti leader di settore si accordano per non entrare in diretta competizione tra di loro, di fatto controllando assieme tutto il mercato di riferimento, con il cosiddetto monopolio di fatto. Tutto ciò limita la concorrenza, portando aspetti negativi nell’economia di un Paese.

In ogni caso, possono esiste solo alcuni modi per limitare il libero mercato:

  • legalmente: per proteggere un interesse generale, di utilità sociale. In questo caso lo Stato crea un monopolio pubblico
  • convenzionalmente: alcuni imprese possono accordarsi per un periodo limitato di 5 anni e solo in merito a un particolare territorio

Detto ciò va poi precisato che in un mercato libero, ogni operatore deve rispettare delle norme per evitare di competere in modo sbagliato, attraverso la concorrenza sleale.
Quindi le strategie adottate per superare gli avversari devono essere “pulite” e corrette. Se si rispettano le regole è possibile recare danni ai propri rivali in modo legale, ad esempio sottraendo loro parte della clientela grazie a prodotti migliori.
Il danno in questa fattispecie non è considerato ingiusto e quindi non è risarcibile.

Le azioni illegali

Il legislatore introducendo il concetto di concorrenza sleale ha messo in chiaro alcuni principi:

  • un competitor non può essere danneggiato da comportamenti scorretti
  • non devono venire comunicate informazioni false ai consumatori

Gli atti di confusione

In grado di generare disguidi, attraverso informazioni non corrette, ad esempio:

  • utilizzando loghi o segni distintivi registrati da altri
  • copiando prodotti già esistenti
  • qualsiasi altra azione volta a confondere il consumatore

Gli atti di denigrazione di vanteria

Hanno lo scopo di denigrare un competitor, e sono i seguenti:

  • diffusione di notizie tendenziose e diffamanti nei confronti dei prodotti dell’azienda
  • vantarsi di avere qualità e pregi migliori rispetto ad altri, senza prove oggettive, ad esempio attraverso una pubblicità esagerata

Gli atti contrari alla correttezza professionale

Sono i comportamenti impliciti o espliciti attuati con l’obiettivo di recare danno ai competitors e sono:

  • il dumping: vendere i prodotti a un prezzo molto basso per eliminare i concorrenti
  • storno di dipendenti: spinge i lavoratori di un rivale a dimettersi per poi assumerli ed avvalersi del loro know how e di notizie riservate, a tal proposito è utile ricordare che in alcuni casi gli ex dipendenti firmano un patto di non concorrenza con il datore di lavoro proprio per evitare situazioni simili.
  • spionaggio industriale: diffondere segreti aziendali che dovrebbero rimanere riservati

Sanzioni per i colpevoli 

Se viene commesso uno reti reati sopra citati, si tratta di concorrenza sleale, ed è possibile agire per pregiudicarne di effetti, come afferma l’art 2599 del codice civile:

La sentenza che accerta atti di concorrenza sleale ne inibisce la continuazione e dà gli opportuni provvedimenti affinché ne vengano eliminati gli effetti

Per arrivare a ciò si possono intraprendere due strade diverse:

  • giudiziale
  • extragiudiziale

Quindi oltre al classico processo in Tribunale, è possibile decidere di agire in maniera più “soft”, presentando una denuncia all’Autorità garante per la Concorrenza e il Mercato.
In seguito verranno fatte indagini accurate per verificare i fatti, per poi convocare gli interessati per cercare di arrivare a una conciliazione senza procedere a giudizio.
Se non è possibile trovare un accordo sarò invece necessario discutere la questione davanti a un Giudice.

Risarcimento danni

Se il colpevole ha commesso il reato di concorrenza sleale con dolo o colpa, deve risarcire i danni provocati, come sottolineato dall’art. 2600 del codice civile:

Se gli atti di concorrenza sleale sono compiuti con dolo o con colpa, l'autore è tenuto al risarcimento dei danni.
In tale ipotesi può essere ordinata la pubblicazione della sentenza.
Accertati gli atti di concorrenza, la colpa si presume

L’onere della prova spetta a chi chiede il rimborso dei danni. In ogni caso può essere calcolato solamente il danno ingiusto, cioè quello provocato da un atto illecito e non da normale pratiche di concorrenza. Perciò se un imprenditore chiude meno affari a causa dei prodotti migliori di un competitor non può chiedere alcun risarcimento.

Se c’è effettivamente un reato va valutata la reale intenzione del colpevole, per determinare se si tratta di dolo, cioè di una precisa volontà di danneggiare qualcuno, o di colpa.

Concorrenza corretta

La questione di cui stiamo discutendo in questo articolo è molto più diffusa di quanto si pensi, soprattutto nel nostro Paese, dove le statistiche indicano che due aziende su tre sono esposte ad azioni illecite. 

Sono quindi, molte, le attività che operano azioni scorrette caratterizzate da irregolarità e illegalità. Tutto ciò potrebbe effettivamente danneggiare chi invece lavora regolarmente.

Non sempre c’è il tempo e la disponibilità economica per intraprendere azioni legali contro i classici “furbetti”, ma solitamente le aziende che lavorano bene, puntando sulla qualità, sull’innovazione, e sulla trasparenza, alla lunga ottengono i risultati sperati. 

Ovviamente, considerando la faccenda da un altro punto di vista, anche i consumatori dovrebbero maturare una maggiore consapevolezza, optando per il cosiddetto acquisto etico.
Infatti, premiando chi basa la propria attività sulla ricerca della qualità, sulla sicurezza dei prodotti e sull’onestà , si crea un circolo virtuoso nel quale vengono automaticamente esclusi tutti coloro che operano nell’illegalità.

CONCORRENZA SLEALE AUTORITÀ GARANTE PER LA CONCORRENZA E IL MERCATO
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