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Ingiuria depenalizzata: la vittima può difendersi?

L’ingiuria depenalizzata con il decreto legislativo n.7 del 15 gennaio 2016 ha scatenato vari dibattiti giuridici. Di fatto il colpevole non viene più giudicato penalmente, ma è responsabile di un illecito civile e quindi deve effettuare un risarcimento dei danni alla vittima.

In base alle novità introdotte dal legislatore negli ultimi anni, chi offende una persona non viene più giudicato in sede penale, ma si macchia “soltanto” di un illecito civile.

Cosa significa? Chi cerca di ledere la reputazione e l’onore di un altro soggetto non rischia più il cercare, ma una sanzione pecuniaria in base alla gravità del fatto commesso. 

Se le offese vengono fatte, mentre il soggetto interessato non è presente, però, si parla di diffamazione, che ancora oggi è un reato punibile anche dal punto di vista penale.

Quindi chi insulta un individuo durante una lite verbale con lo stesso rischia di pagare una multa, mentre chi lede la reputazione altrui comunicando con terzi rischia il carcere in quanto si rende colpevole del reato di diffamazione.

E’ evidente quindi, che non esiste più un forte deterrente e le vittime hanno meno possibilità di fare valere i loro diritti, ma possono solo ricevere un risarcimento danni.
Per questo motivo l’ingiuria depenalizzata è stata considerata incostituzionale dal Giudice di Pace di Venezia.

Cos’è l’ingiuria?

Chiunque offende un’altra persona, presente, con lo scopo di ledere la sua reputazione e il suo onore si macchia del reato di ingiuria, o meglio di un illecito.

Un comportamento di questo tipo, non viene più considerato un reato penale, dal 2016, l’anno in cui è stato abrogato l’art. 594 c.p. che affermava:

Chiunque offende l'onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a cinquecentosedici euro.
Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.
La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a milletrentadue euro, se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato.
Le pene sono aumentate qualora l'offesa sia commessa in presenza di più persone.

Come possiamo notare, fino a poco tempo fa, il colpevole rischiava la reclusione in carcere fino a 6 mesi, una pena che serviva come deterrente, per scoraggiare comportamenti lesivi della dignità altrui. Quindi una parola di troppo o un post denigratorio su Facebook potevano essere puniti severamente.

Il legislatore però ha deciso di abrogare l’articolo, e la conseguente ingiuria depenalizzata prevede solamente il pagamento di una pena pecuniaria.

Se viene corrosa la reputazione altrui anche in presenza di altre persone il fatto è più grave, e rientra nella casistica della cosiddetta ingiuria aggravata.

Per trattarsi di ingiuria l’offesa deve essere effettuata in presenza della vittima, non per forza face to face, ma anche tramite mezzi di comunicazione quali il telefono, il web o una lettera. Quindi un messaggio lesivo dell’onore spedito tramite Whatsapp, una email o pubblicato su Facebook rientra in tale categoria, se è diretto alla persona offesa.

Quando si fa riferimento all’ingiuria depenalizzata, perciò, non significa che il fatto non viene più punito, ma che si tratta di un illecito diverso. La condotta negativa descritta dall’art. 594 continua ad essere vietato, anche se la conseguenza non è più la prigione, ma un’azione civile con lo scopo di:

  • effettuare un risarcimento del danno in favore della vittima
  • imputare una pena pecuniaria da 100 a 8000 euro, o da 200 a 12.000 se si tratta di ingiuria aggravata

Ingiuria depenalizzata e sanzioni

Fino ad ora abbiamo visto che a seguito del Decreto Legislativo n.7 del 15 gennaio 2016 l’ingiuria è stata depenalizzata e non rientra più tra i reati punibili in sede penale.

Quindi, il colpevole non rischia più il carcere, ma il comportamento è comunque vietato dalla legge e considerato un illecito civile. Le sanzioni pecuniarie previste possono variare da 100 a 12.000 euro, che vengono versati allo Stato, alla Cassa delle ammende.

L’importo esatto che deve pagare chi si macchia di tale illecito viene calcolato considerando le seguenti variabili:

  • gravità del comportamento
  • reiterazione del fatto
  • arricchimento del responsabile
  • opera svolta per eliminare o attenuare le conseguenze
  • personalità e psicologia dell’individuo

In particolare si tratta di reiterazione dell’illecito se lo stesso soggetto effettua un’altra violazione dello stesso tipo entro 4 anni, accertata da un provvedimento esecutivo.

In giurisprudenza quando si parla di “stessa indole” si fa riferimento a fatti compiuti con modalità simili e quindi con una certa omogeneità, se pur non identici.

Se l’ingiuria depenalizzata viene compiuta da diversi individui, ciascuno di loro dovrà far fronte a una specifica pena pecuniaria, in quanto si tratta di una sanzione di carattere strettamente personale.
Per questo motivo, in caso di decesso del responsabile, il pagamento della multa non rientra tra i debiti ereditari dei legittimari.

In ogni caso la sanzione può essere inflitta solamente al termine del processo, se la richiesta di risarcimento danni effettuata dalla vittima viene accolta dal Giudice.
Se la vittima decide di non procedere in giudizio, non ci sarà alcuna multa.

Ingiuria depenalizzata e difesa della vittima

Sicuramente l’ingiuria depenalizzata non rappresenta più un deterrente abbastanza efficace per scongiurare comportamenti atti a ledere l’onore altrui, ma nonostante ciò la vittima ha sempre la possibilità di difendersi e di chiedere un risarcimento per il torto subito.

Come abbiamo sottolineato nel paragrafo precedente, il responsabile può essere costretto a pagare una multa in relazione alla gravità del suo comportamento. Perchè ciò avvenga, però, è necessario che la parte lesa decida di procedere a giudizio.

Si tratta di una scelta personale, probabilmente non sempre un soggetto vuole intraprendere una causa in tribunale, che potrebbe durare diversi anni, e comportare diverse spese, almeno inizialmente.In alcuni casi, infatti, la vittima preferisce inviare una lettera di diffida a chi l’ha offesa, senza poi proseguire oltre.

In ogni caso, va detto che, se il problema è di tipo economico lo Stato italiano prevede il gratuito patrocinio proprio per permettere ai soggetti con meno possibilità di potersi difendere.

Ma cosa deve fare esattamente la vittima se intende difendersi?

Diversamente dal passato, ora non è si deve più sporgere una querela presso i carabinieri, ma si deve intentare una causa civile.

Per importi inferiori a 5000 euro la situazione viene discussa presso il Giudice di Pace, per importi più alti, invece, la discussione viene fatta in Tribunale.

Al termine del processo, che potrebbe avere tempi molto lunghi, il giudice può condannare il responsabile al pagamento:

Ingiuria depenalizzata e risarcimento danni

Chi ha subito un’offesa personale che ha leso il proprio onore può chiedere un risarcimento dei danni al colpevole. Per fare ciò è necessario ricorrere a una causa civile.

La questione più complessa in merito all’ingiuria depenalizzata è proprio quella relativa all’onere della prova. Per quanto riguarda gli illeciti civili, infatti, non si può fare riferimento solo a quanto dichiarato dalla parte lesa, ma bisogna dimostrare in modo oggettivo quanto è successo.

Un testimone potrebbe essere molto utile, ma deve avere assistito in prima persona al fatto. Oppure, la registrazione della telefonata o di una conversazione, fatta attraverso apposite App disponibile per gli smartphone. Risulta ovvio che, non è possibile determinare a priori in quale momento potrebbe esserci una grave offesa, quindi è estremamente difficile essere preparati a raccogliere le prove.

In ogni caso, oltre a fornire le prove, la vittima deve anche fare una stima dell’offesa subita. In mancanza di tale indicazione il Giudice effettuerà una valutazione equitativa, cioè analizzerà il caso concreto disponendo la cifra che ritiene può congrua come risarcimento.

L’ingiuria depenalizzata è incostituzionale?

L’ingiuria depenalizzata non è stata accolta in modo positivo da una parte della giurisprudenza italiana. In particolare il Giudice di Pace di Venezia ha dichiarato che l’abrogazione dell’art 594 c.p., rappresenta una violazione di principi Costituzionali.

Il diritto all’onore, infatti, è uno dei diritti fondamentali della persona, tutelati proprio dall’art. 2 della Costituzione.

Una tutela di tipo penale, rappresentava una garanzia maggiore, in quanto aveva una funzione deterrente in grado di proteggere i diritti considerati inviolabili. 

Secondo il Giudice, inoltre, non viene applicato il principio di eguaglianza, in quanto illeciti simili come l’ingiuria e la diffamazione vengono puniti in modo diverso.

Succede, infatti, che se un soggetto viene offeso di persona può essere tutelato solo civilmente, se invece non è presente all’offesa interviene la tutela penale. Ma nella realtà dei fatti la condotta e il bene offeso rimangono gli stessi.

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