Se l’Italia dovesse entrare in guerra, quanti e quali italiani verrebbero chiamati a combattere? Tornerebbe la leva obbligatoria? Sarebbe possibile rifiutarsi? Vediamo insieme la risposta a queste domande.
Dopo l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, si è tornato a parlare della paura di un possibile terzo scontro mondiale, vediamo insieme quanto questa paura è fondata e cosa potrebbe succedere nel caso si avverasse.
Secondo l’articolo 11 della Costituzione «l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». L’Italia, quindi, non può in nessun caso ricorrere a un intervento bellico come mezzo di risoluzione dei conflitti o per offendere la libertà delle altre nazioni.
Questa disposizione, però, non esclude la chiamata alle armi, poichè è limitato ad una guerra offensiva. Di fatto, nel caso in cui si parli invece di una guerra difensiva, il discorso cambia. Infatti, per difendere il Paese da una minaccia esterna, le nostre Forze Armate attuerebbero immediatamente un’offensiva, avendo come risultato l’entrata in guerra dell’Italia. A questo proposito l’art. 78 prevede che «le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari».
Nello specifico, il Codice militare prevede che la chiamata alle armi sia possibile in due casistiche:
In quest’epoca di globalizzazione, l’Italia non decide se entrare in guerra da sola. La chiamata alle armi viene stabilita con le organizzazioni sovranazionali di cui il nostro Paese fa parte: prime tra tutte, la Nato e l’Unione Europea.
La Nato agisce in blocco e concretamente: le azioni militari avvengono in comune, secondo la regola ”uno per tutti, tutti per uno”. L’art. 5 del Trattato sancisce, infatti, che un attacco armato contro uno Stato membro è da considerare come un attacco indirizzato anche a tutti gli altri Stati appartenenti all’Alleanza. Di conseguenza, ciascuno dei Paesi membri è tenuto ad agire a sostegno reciproco e, in particolare, è possibile che si decida di ricorrere alla forza armata. In definitiva, tutti possono dichiarare guerra all’aggressore di qualsiasi Stato facente parte della Nato.
Inoltre, l’attacco armato che potrebbe scatenare il conflitto non è necessario che avvenga sul territorio nazionale di uno degli Stati coinvolti, potrebbe anche realizzarsi, come previsto dall’art. 6 del Trattato, «contro le forze, le navi e gli aeromobili che si trovino su questi territori o in qualsiasi altra regione d’Europa o nel mare Mediterraneo».
Parlando di attualità, conseguentemente all'invasione armata dell'Ucraina, l'Italia non è stata coinvolta direttamente nella sua difesa, proprio perchè la prima non fa parte della Nato. Ciò non vuol dire,però, che è stata lasciata da sola a risolvere il proprio conflitto. La Nato, infatti, dispone di una «forza di rapido impiego» ovvero un contingente militare multinazionale (di cui fa parte anche l’Italia), che essendo già pronta all’uso, può essere chiamata per intervenire nei casi di emergenza. Questo è successo per l’Ucraina, dove migliaia di soldati (tra cui più di 4mila italiani) si sono mobilitati per prepararsi a replicare ad eventuali attacchi dei russi.
Ora, ipotizzando che sfortunatamente l'Italia dovesse entrare in guerra, chi verrebbe chiamato alle armi?
Tenendo presente che l’obbligo di servizio militare, più conosciuto come leva obbligatoria, è stata abolita nel 2004 per coloro nati a partire dal 1° gennaio 1986 e che le chiamate alla leva sono state «sospese» a partire dal 1° gennaio 2005, ora le nostre forze armate (Esercito, Marina e Aeronautica) vengono composte esclusivamente da professionisti che hanno scelto volontariamente di indossare la divisa e di intraprendere la carriera militare.
Ciò non vuol dire, però, che la leva non possa essere ripristinata nelle casistiche gravissime che abbiamo descritto sopra. Infatti, la leva è solo stata sospesa e può tornare ad essere attiva. L’art. 52 della Costituzione è chiaro, esso sancisce che: «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino».
Ci sono comunque, ovviamente, degli step antecedenti al ripristino della leva obbligatoria, vediamo quali.
Per ripristinare la leva obbligatoria è necessario che l'organico volontario in servizio, ovvero coloro che hanno intrapreso una carriera militare, sia insufficiente e che la mancanza di personale non possa essere colmata con i volontari in ferma permanente che abbiano cessato il servizio da non oltre 5 anni. I cosiddetti "ex militari" sono, infatti, i primi che, in caso di necessità, verrebbero richiamata in servizio, senza necessità di arrivare a chiamare alla leva gli adulti e i giovanissimi i quali non hanno mai prestato il servizio militare.
Purtroppo, però, se per la gravità dei conflitti, questi non dovessero bastare, si arriverebbe alla necessità di chiamare i cittadini a combattere. La chiamata alle armi può essere disposta con un decreto del presidente della Repubblica, conseguentemente alla deliberazione del Consiglio dei ministri; non c’è, quindi, bisogno di una legge perché, come abbiamo visto, la leva obbligatoria è rimasta in stand by ma non è stata abolita.
Come abbiamo già detto, se gli appartenenti alle forze armate (ovvero, esercito. marina militare, aeronautica militare, carabinieri e Guardia di Finanza) e anche gli aventi terminato il servizio da meno di 5 anni, non dovessero bastare, verrebbero chiamati i civili.
La chiamata avverrebbe per mezzo delle cosiddette liste di leva, nelle quali vengono iscritti tutti i cittadini maschi aventi compiuto 17 anni di età. Potrebbero così essere chiamati a combattere tutti i cittadini maschi nella fascia di età che va dal compimento del 18° anno fino ai 45 anni.
Dopo la chiamata, sarebbe necessario effettuare una visita dalla quale si uscirebbe con l'etichetta di idoneo (quindi arruolabile), rivedibile (cioè temporaneamente inabile e da sottoporre a nuova visita) e riformato (permanentemente inidoneo al servizio militare).
La chiamata alle armi è obbligatoria e non può essere rifiutata. L’art. 52 della Costituzione sancisce che «il servizio militare è obbligatorio nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge» e il rifiuto della chiamata alle armi viene considerato un reato.
Abbiamo visto che la legge attuale sancisce che la mancanza di personale facente parte delle Forze armate debba essere colmato rivolgendosi, in prima battuta, ai veterani recenti, ovvero, ai volontari che hanno cessato la loro carriera militare da non più di 5 anni. Per cui, coloro che si sono arruolati e poi congedati non possono opporsi ad un eventuale richiamo in servizio e alle armi.
Si può evitare la chiamata alle armi solo per gravi motivi di salute che impediscono una partecipazione attiva alle operazioni militari (e a quel punto tornano in vigore le regole che abbiamo visto per l’idoneità al servizio militare) o, per le donne, se la chiamata avviene durante lo stato di gravidanza.
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