L’impresa familiare è caratterizzata dal fatto che i lavoratori sono parenti entro il terzo grado. Vediamo quindi di capire cosa prevede la legge in questo caso.
Nel nostro Paese ci sono molte attività gestite a livello familiare, ma non tutti sanno effettivamente cosa significa, ovvero se la legge prevede particolari obblighi e tutele a riguardo.
In realtà non si tratta di una modalità distinta dalle altre, l’unica differenza sta nel fatto che il titolare si avvale della collaborazione di parenti. Rispetto ad un lavoratore normale, i familiari godono di particolari tutele, è questo il vero elemento che differenzia questa tipologia aziendale.
Nelle prossime righe faremo un po’ di chiarezza in merito, per chiarire i molti dubbi che potrebbero nascere prima di aprire un’attività o per fare valere i propri diritti.
Quando di parla di impresa familiare non si fa riferimento a una categoria particolare come può essere la ditta individuale o la società, ma di una situazione nella quale la legge tutela i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo o il coniuge che collaborano nell’attività.
L’art. 230 bis del codice civile afferma infatti:
Salvo che sia configurabile un diverso rapporto), il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell'impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato
Come possiamo leggere, ai familiari collaboratori spetta una quota degli utili dell’impresa. Ma in quali casi può succedere?
L’impresa familiare può avere come oggetto attività commerciali, industriali o agricole. Sono escluse invece quelle bancarie e assicurative.
Va detto comunque che, se la stessa è gestita da entrambi i coniugi, in regime di comunione dei beni si tratta di un’impresa coniugale.
Ad ogni modo si applica quanto previsto dal codice civile anche se l’azienda è costituita con terzi. In questo caso, però, verranno divisi gli utili inerenti limitatamente alla quota sociale dell’interessato.
Non sono necessarie particolari formalità per costituire un’impresa di questo tipo. Per dimostrarne l’esistenza, ovvero ai fini probatori, però, deve esserci un atto pubblico o una scrittura privata autenticata.
Se dobbiamo parlare, comunque, della sussistenza della stessa, è sufficiente che il titolare si avvalga di almeno un familiare. Detto ciò, non essendo obbligatorio stipulare un contratto ad hoc, la stessa può nascere dall’esercizio continuativo di un’attività di tipo economico da parte di uno o più parenti.
Esistono diverse tipologie di imprese familiari:
Ma, vediamo in modo specifico chi può partecipare:
Cosa succede in merito ai conviventi?
Il cosiddetto convivente more uxorio, inizialmente escluso in quanto considerato come un estraneo ora viene considerato come un collaboratore.
Si tratta di due soggetti maggiorenni che decidono di vivere stabilmente insieme e sono legati da un sentimento affettivo di coppia, non avendo legami di parentela, affinità o adozione. Per accertare una situazione di questo tipo si deve rilasciare una dichiarazione anagrafica.
In base a quanto abbiamo affermato fino ad ora, potrebbe sembrare che l’impresa familiare prenda vita ogni volta che si instaura una collaborazione con un parente, ma non è così.
Si tratta, infatti, di una disciplina residuale, ovvero applicabile soltanto se non è stato realizzato un rapporto di lavoro differente. In altre parole il legislatore ha voluto offrire uno strumento di tutela per tutti i casi in cui non ci sono rapporti lavorativi subordinati o autonomi in ambito familiare. Per questo motivo l’esistenza di una collaborazione non è mai presunta ma deve essere dimostrata.
Il lavoro in questione può essere sia intellettuale che manuale, ma non si deve trattare soltanto della gestione dell’azienda, in questo caso infatti si dovrebbe parlare di società.
Ad ogni modo l’attività deve essere svolta in modo costante e prevalente, anche se part-time.
La partecipazione all’impresa familiare non deve essere confuso con la collaborazione occasionale dei familiari conviventi. In quest’ultimo caso, infatti, l’attività viene svolta spontaneamente per adempiere ai doveri familiari, quindi trova fondamento nel legame affettivo.
Si deve trattare, comunque, di attività svolta sporadicamente, in modo non sistematico o stabile. In particolare non si può superare il limite massimo dei 90 giorni in un anno solare, ovvero 720 ore.
Chi partecipa all’impresa familiare ha i seguenti diritti:
Il titolare dell’azienda ha il diritto di recedere e di cessare l’attività. In questo caso i familiari partecipanti devono ottenere la liquidazione della loro quota e un risarcimento danni se il recesso è stato ingiustificato.
Se invece c’è il decesso del titolare, si decreta la cessazione dell’impresa familiare e il passaggio dei beni lungo l’asse ereditario. In questo caso i parenti che hanno partecipato ad essa, hanno il diritto di prelazione.
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