Il recupero crediti del condominio è un obbligo specifico per l’amministratore, che deve occuparsi della questione con la massima diligenza, individuando le azioni più efficaci da intraprendere, anche quelle di natura giudiziaria.
Vivere in un condominio non è semplice, nascono spesso dei litigi dovuti alla necessità di condividere delle zone in comune, e dall’essere molto vicini l’uno dall’altro.
Ma, probabilmente, i problemi più importanti sorgono quando alcuni condomini non pagano le spese e il bilancio generale va in rosso, causando dei danni anche a chi ha assolto regolarmente agli obblighi.
A questo proposito va sottolineato che la situazione è cambiata notevolmente a seguito della riforma del 2012, che ha assegnato compiti e obblighi più rigidi all’amministratore, che deve ora gestire anche i soggetti morosi, occupandosi di tutte le azioni necessarie, fino a un eventuale pignoramento.
L’amministratore di condominio è tenuto a svolgere il proprio incarico nel rispetto delle norme che disciplinano il contratto di mandato, e quelle specifiche in materia condominiale.
Prima della riforma del 2012, egli doveva riscuotere i contributi condominiali, ma non era obbligato ad attivarsi per recuperare i pagamenti attraverso azioni legali. Ciò significa che tali operazioni erano a discrezione di ogni singolo amministratore, che poteva scegliere in modo del tutto facoltativo se intervenire per sistemare la situazione.
Di fronte alle lamentele dei condomini regolari con i pagamenti, egli si poteva giustificare dicendo di avere valutato l’alternativa legale come poco conveniente e poco utile per risolvere la questione.
Ovviamente una situazione di questo tipo poteva innescare dei favoritismi, nel senso che potevano essere avvantaggiati i rapporti di amicizia.
Nella maggior parte dei casi, infatti, prima del 2012 la situazione veniva risolta semplicemente inviando lettere di sollecito bonarie ai morosi, per chiedere di saldare il debito.
A seguito della riforma del 2012 le norme sono cambiate, o meglio la disciplina del condominio è stata ampliata, e prevede ora delle linee guida più specifiche rispetto al passato.
La nuova normativa impone all’amministratore di occuparsi del recupero forzoso dei crediti insoddisfatti.
In particolare egli è obbligato ad intraprendere l’azione legale che ritiene essere più opportuna per effettuare il recupero dei crediti del condominio, anche in modo forzoso, entro 6 mesi dalla chiusura dell’esercizio. Ma non solo, egli deve anche seguire in maniera scrupolosa tutto il procedimento giudiziario fino all’esecuzione, ovvero il pignoramento.
Se non rispetta tale obbligo può essere revocato dall’incarico, su richiesta di ciascun condomino, per grave irregolarità.
In altre parole, oggi chi non paga regolarmente le spese non può più fare affidamento sul legame di amicizia con l’amministratore per evitare conseguenze legali.
Come abbiamo detto, quindi, ciascun condomino può agire chiedendo la revoca dell’amministratore e un risarcimento danni. Si tratta infatti di un inadempimento contrattuale, che si prescrive in 10 anni.
Come già sottolineato nel precedente paragrafo, l’amministratore è obbligato ad agire legalmente per recuperare i crediti del condominio. Prima di intraprendere tale operazione, però, può tentare un approccio più pacifico per risolvere il problema.
In alcuni casi, infatti, è sufficiente inviare all’interessato una lettera di sollecito per intimare il pagamento ed ottenere il credito.
Ad ogni modo, va sottolineato che entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio è necessario iniziare l’azione legale se mancano alcuni pagamenti. Ciò significa che si dovrà agire in giudizio per la riscossione dei contributi mancanti fino all’azione di pignoramento.
Il responsabile, quindi, deve nominare un avvocato civilista di fiducia e deve munirsi di un titolo esecutivo. Nel ricorso per decreto ingiuntivo dovranno essere presentate delle prove scritte, dunque sarà allegato il piano spese approvato dall’assemblea e l’inadempimento del moroso.
Tutto ciò è fondamentale per poter ottenere dal giudice la provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo e intervenire subito senza attendere i classici 40 giorni.
Ad ogni modo, l’ingiunto ha sempre la possibilità di opporsi alla decisione nei 40 giorni successivi alla notifica.
Prima di intraprendere le vie legali e chiedere la consulenza di un avvocato, l’amministratore può agire in maniera autonoma intraprendendo due diverse azioni:
Nel primo caso c’è la possibilità di sospendere al moroso la fruizione dei servizi comuni, suscettibili di godimento separato, quindi l’acqua negli edifici dove è centralizzata, il riscaldamento e la luce. Inoltre, si può impedire il parcheggio nel cortile condominiale.
Per potere agire nel suddetto modo, però, è necessario che il moroso non paghi da almeno sei mesi. In ogni caso prima del distacco dovrebbe essere inviata una intimazione scritta.
La denuncia ai creditori, invece, può essere fatta dall’amministratore inviando l’elenco dei nominativi dei morosi, per fare in modo che eventuali azioni esecutive dei primi vengano fatte esclusivamente nei confronti di chi non ha pagato regolarmente le spese.
Detto ciò, va evidenziato che in ogni caso essi potranno agire anche nei confronti del condominio, e chi ha sempre sostenuto i pagamenti in modo regolare sarà coinvolto.
In pratica effettuando tale operazione i creditori non potranno agire nei confronti dei condomini virtuosi se prima non c’è stata l’escussione dei morosi.
Ad ogni modo i creditori hanno la facoltà di pignorare il conto corrente condominiale, quindi di fatto, anche prima di agire nei confronti di chi non ha effettivamente pagato.
L’amministratore ora ha l’obbligo di attivarsi per riscuotere i crediti, anche senza chiedere l’autorizzazione all’assemblea. Dunque, non è più sufficiente inviare una lettera bonaria di sollecito, ma è necessario intraprendere azioni giudiziarie entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio. In caso contrario, qualsiasi condomino può chiedere la revoca dell’incarico e un risarcimento danni.
Intraprendendo la via giudiziaria si può ottenere un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, quindi senza attendere 40 giorni. Ciò significa che a partire dal giorno dopo può iniziare l’esecuzione forzata, iscrivendo l’immobile a ipoteca e mettendolo all’asta.
Se, però, risulta difficile vendere l’immobile a causa di ulteriori ipoteche, è possibile interrogare l’anagrafe tributaria per capire se si possono pignorare altri beni. Attraverso tale ricerca, infatti, è possibile scoprire tutti i possedimenti del soggetto.
Nel caso in cui l’appartamento sia dato in affitto a terzi, è possibile avviare un pignoramento dei fitti, ovvero il pignoramento presso terzi. In altre parole, l’inquilino dovrà pagare l’affitto all’amministratore anziché al padrone di casa, per potere saldare il debito.
Ad ogni modo, l’aspetto determinante rispetto al passato, è l’obbligo dell’amministratore di gestire la situazione, anche legalmente se è necessario, individuando un avvocato di fiducia per fare gli interessi dei condomini diligenti.
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