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Facoltà di non rispondere: chi ne ha diritto?

La facoltà di non rispondere è prevista dalla legge per "proteggere" un indagato durante un interrogatorio. Ma cosa significa esattamente? Chi ne ha il diritto? Perché è prevista tale possibilità? Proviamo a rispondere a tutte queste domande.

Per i non addetti ai lavori non sempre è facile capire il funzionamento e soprattutto lo scopo di alcune norme previste dalla legge italiana. In modo particolare, sorgono spesso molti dubbi, e non sempre si comprende lo scopo di alcuni strumenti giuridici soprattutto se hanno l'obiettivo di tutelare degli indagati.

Generalmente ciò che si conosce deriva da qualche film o serie tv, ma nella realtà dei fatti come avviene un interrogatorio, e quali sono i diritti dell’indagato?
Se un soggetto viene colto in flagrante e se ci sono vari indizi in merito alla sua presunta colpevolezza, perché gli viene concessa la possibilità di non rispondere alle domande?

Soprattutto se si tratta di un reato grave, tale concetto sembra essere assurdo, ma come vedremo nelle prossime righe lo scopo della giurisprudenza è quello di garantire a tutti un processo giusto, impedendo all’imputato di dire una parola sbagliata e compromettere l’intero procedimento.

Cos’è la facoltà di non rispondere?

La facoltà di non rispondere corrisponde alla possibilità di tacere durante un interrogatorio di garanzia.
In questa fase il Pubblico Ministero o la persona con una delega, può fare delle domande all’indagato, ma quest’ultimo non è obbligato a rispondere. Detto ciò, deve essere necessariamente convocato anche l’avvocato del soggetto, o nominato un difensore d’ufficio.

Si tratta di un’opzione prevista dall’art. 64 del codice di procedura penale:

Prima che abbia inizio l'interrogatorio, la persona deve essere avvertita che:
a) le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti;
b) salvo quanto disposto dall'articolo 66, comma 1, ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda, ma comunque il procedimento seguirà il suo corso;
c) se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti, l'ufficio di testimone, salve le incompatibilità previste dall'articolo 197 e le garanzie di cui all'articolo 197bis.

Dato che, probabilmente sono in molti a chiedersi se tale possibilità sia giusta, precisiamo subito che in uno stato di diritto è necessario garantire a tutti, anche ai presunti colpevoli di reati molto gravi quali l’omicidio, la mafia o il terrorismo, un processo giusto.

In particolare prima di avviare un interrogatorio, l’interessato deve essere avvertito in merito alle seguenti situazioni:

  • ciò che afferma potrà essere usato nei suoi confronti durante il processo
  • può decidere di non dare una risposta a una o a tutte le domande, anche se ovviamente il procedimento potrà continuare lo stesso
  • nel caso in cui decida di parlare di persone terze, ovvero della responsabilità di altri, dovrà assumere il ruolo di testimone dei fatti.

Se non vengono dati tali avvertimenti, le dichiarazioni dell’indagato non possono essere utilizzate.

Tuttavia, ad alcune domande egli è costretto a rispondere, ad esempio a quelle inerenti alle sue generalità o dettagli indispensabili per la sua identificazione.

Le seguenti informazioni, infatti, devono avere sempre una risposta:

  • possesso di beni patrimoniali
  • condizioni di vita sociale e familiare
  • il coinvolgimento in altri processi penali
  • condanne ricevute in Italia o in altri paesi
  • l’esercizio di servizi pubblici
  • avere ricoperto o meno cariche pubbliche

Va precisato, comunque, che a seguito della legge n. 63 sul cosiddetto “giusto processo” del 2001, le dichiarazioni possono essere utilizzate all’interno di precisi limiti. Ad esempio possono essere sfruttate nei confronti dell’indagato, ma non contro altri, se non c’è il loro consenso, a meno che l’imputato non abbia subito violenze, minacce od offerte di denaro in cambio del silenzio.

Chi ha diritto alla facoltà di non rispondere?

Nel paragrafo precedente abbiamo chiarito sinteticamente perché la giurisprudenza permette ad un indagato di non fornire delle risposte, proviamo ora a descrivere chi effettivamente può essere titolare di tale diritto.

Innanzitutto si tratta di una possibilità che un indagato può sfruttare durante un interrogatorio di garanzia. In particolare è estremamente utile quando:

  • l’interessato non conosce l’indagine in corso
  • le dichiarazioni potrebbero essere interpretate in modo sbagliato o fraintese
  • non è possibile rettificare le informazioni in futuro

Proviamo ad analizzarle tutte le suddette circostanze.

L’interessato non conosce l’indagine in corso

Comunicare informazioni e raccontare nei dettagli i fatti potrebbe essere molto pericoloso per l’indagato che non conosce in che modo si stanno svolgendo le indagini, e quali sono le prove che la polizia giudiziaria è riuscita a recuperare in merito agli avvenimenti. 

Ad esempio affermare di essere stati in un determinato luogo nel giorno indicato, quando invece gli organi competenti hanno già delle prove contrarie. In questo caso, rimanere in silenzio serve proprio per evitare gravi scivoloni dato che l’interessato è all’oscuro delle indagini in corso.

Generalmente, infatti, l’imputato rimane in silenzio fino a che l’avvocato difensore non disponga di tutte le carte relative alle indagini preliminari.

Paura di essere frainteso

Il silenzio serve anche per evitare che alcune parole o racconti, vengano fraintesi. L’imputato potrebbe, infatti, compromettere la propria situazione in modo del tutto involontario. 

Ad esempio fornendo dei dettagli particolari, senza volerlo il soggetto potrebbe fare trapelare informazioni delicate, in grado di rovinare la sua posizione drasticamente. Per evitare ulteriori complicazioni, quindi, nella maggior parte dei casi l’imputato decide di non parlare.

Impossibilità di rettificare

Gli indagati restano spesso in silenzio anche perché le loro dichiarazioni non possono essere modificate. Tutto ciò che viene raccontato all’autorità giudiziaria, infatti, viene messo a verbale e quindi può essere utilizzare contro il soggetto, come precisato prima dell’interrogatorio.

Ad esempio se l’indagato racconta di essere stato a lavoro fino a tardi, e poi invece si scopre che ha passato la serata a casa di una collega, non può pulirsi la coscienza dicendo che non voleva che la moglie conoscesse tali affermazioni. Il fatto di avere mentito non è un punto a suo favore è verrà tenuto in considerazione durante il processo.

Chi non ha diritto alla facoltà di non rispondere?

Fino ad ora abbiamo visto che l’imputato può evitare di fornire delle risposte per diverse ragioni, tutte permesse dalla legge. 

Esiste però un’altra figura molto importante per lo svolgimento di un processo che non può sfruttare tale possibilità durante l’interrogatorio, ovvero il testimone. Quest’ultimo è obbligato a rispondere alle domande dell’autorità giudiziaria, e quindi deve presentarsi, se non ci sono giustificati motivi per non farlo, come un problema lavorativo o di salute serio, che deve essere comunicato per tempo.

Ovviamente non può conoscere sempre le risposte alle domande fatte, infatti può dire di non sapere nulla, o di non ricordare bene cosa sia successo, ma non può evitare di dare delle risposte.

Va precisato che, il testimone che sceglie di non fornire delle risposte può essere denunciato dal Pubblico Ministero, e rischia la reclusione da 2 a 6 anni.

Quali sono le conseguenze?

Se un imputato sceglie di non rispondere alle domande fatte durante l’interrogatorio di garanzia, quali sono le conseguenze?

Nei paragrafi precedenti abbiamo evidenziato che la legge permette tale possibilità per consentire al soggetto di essere sottoposto a un processo giusto, evitando che le sue parole possano essere fraintese. Ma cosa comporta tale rinuncia?

La conseguenza più rilevante riguarda la misura cautelare adottata, che rimane invariata dato che non ci sono nuovi elementi in grado di favorire il rilascio. 

Inoltre, la Cassazione  con la sent. n. 6348/2015, si è espressa nel seguente modo:

Il silenzio serbato dall'indagato in sede di interrogatorio di garanzia non può essere utilizzato quale elemento di prova a suo carico, ma da tale comportamento processuale il giudice può trarre argomenti di prova, utili per la valutazione delle circostanze "aliunde" acquisite

Come funziona l’interrogatorio di garanzia?

Abbiamo visto che un soggetto indagato può appellarsi alla facoltà di non rispondere quando gli vengono sottoposte delle domande, ma vediamo come funziona esattamente l’interrogatorio di garanzia.

Innanzitutto, va detto che, si tratta di un adempimento previsto per i soggetti che si trovano in stato di fermo o arrestati in flagranza di reato, per decidere quali misure cautelari applicare. 

Il giudice, infatti, in base alle risposte può farsi un’idea in merito ai fatti e decidere quali misure adottare. In modo particolare, se il rischio di inquinamento di prove o se il soggetto viene considerato pericoloso vengono adottare delle misure restrittive della libertà.

L’interrogatorio, comunque, deve avvenire sempre nel rispetto delle norme, ovvero l’indagato deve intervenire in modo libero, ovvero non possono mai essere utilizzati metodi che possano alterare la sua capacità di ricordare i fatti.

Come abbiamo sottolineato nelle righe precedenti, inoltre, l’interessato deve essere avvertito sull’utilizzo delle informazioni, così da permettergli di scegliere se appellarsi o meno alla facoltà di non rispondere. 

Per legge, deve obbligatoriamente intervenire anche il difensore dell’indagato, che deve quindi essere informato tempestivamente. Il P.M., invece, può liberamente decidere se partecipare o meno.

Fonti normative

  • Art. 64 c.p.p.
  • Cassazione con la sent. n. 6348/2015
  • Art. 197 c.p.p.
  • Art. 197 bis c.p.p.

DIRITTO PENALE FACOLTÀ DI NON RISPONDERE INTERROGATORIO
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