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L’automatismo nell’assegnazione del cognome paterno ai figli: le ultime dalla Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale, dopo aver già ammesso l’attribuzione del doppio cognome ai figli nati durante il matrimonio, supera un’altra volta l’inerzia del legislatore, dichiarando l’illegittimità della assegnazione del solo cognome paterno ai figli nati fuori dal matrimonio, riconosciuti contemporaneamente da entrambi i genitori.


Il quadro normativo

Nella disciplina della attribuzione del cognome ai figli la secolare prevalenza del cognome paterno trova il proprio riconoscimento normativo sia negli articoli del Codice Civile, sia nel Regio decreto n. 1238/1939, “Ordinamento dello stato civile”, nonchè nel decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000, “Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile”.

Vediamo gli articoli di riferimento del Codice Civile:

con riferimento ai figli nati in costanza (ossia durante) il matrimonio, l’articolo 231 c.c. stabilisce una presunzione di paternità del figlio in capo ai marito della madre: il marito è padre del figlio concepito o nato durante il matrimonio. 

Secondo il legislatore il cognome del neonato sarà quello del marito della partoriente.

In riferimento, invece, ai figli nati fuori dal matrimonio, opera l’istituto del riconoscimento, sia in maniera congiunta da parte di entrambi i genitori, sia separatamente. Secondo l’art. 250 c.c. “Il figlio nato fuori del matrimonio può essere riconosciuto (…) dalla madre e dal padre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all'epoca del concepimento. Il riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente”. In tema di attribuzione del cognome ai figli nati fuori dal matrimonio opera (se pur con superamento giurisprudenziale) l’articolo 262 c.c., che al primo comma stabilisce che “Il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio assume il cognome del padre.

I precedenti sull’attribuzione del cognome, prima del 2016

La Corte Costituzionale è stata chiamata in più occasioni a valutare la legittimità costituzionale di alcune norme del nostro ordinamento, in riferimento al principio di parità dei genitori e al diritto all’identità personale dei figli.

Così, sin da altri tempi il giudice delle leggi ha ammesso la possibilità di diversi sistemi di attribuzione del nome dei figli, egualmente idonei a salvaguardare l’eguaglianza e l’autonomia dei genitori. Si vedano, ad esempio, le Ordinanze n. 176 e n. 586 del 1988.

Più di recente, poi, la Consulta ha espressamente riconosciuto come l’attuale sistema di attribuzione del cognome non sia altro che il retaggio di una concezione patriarcale della famiglia e di una potestà maritale, ormai tramontate e non più coerenti con i principi dell’ordinamento, fra cui l’uguaglianza tra uomo e donna. Con sentenza n. 61 del 16 febbraio del 2006 la Corte ritiene che la normativa circa l’attribuzione del cognome paterno ai figli si trovi in contrasto con la nuova e diversa sensibilità nella collettività e con i diversi valori di riferimento, connessi alle profonde trasformazioni sociali intervenute, nonché alle sollecitazioni provenienti dalle istituzioni comunitarie.


La condanna dell’Europa del 2014

La Corte di Strasburgo ha condannato il nostro Paese ritenendo che l’inesistenza di una deroga all’automatica attribuzione del cognome paterno violi gli articoli 8 e 14 della CEDU, Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950.

In particolare, nella sentenza Cusan e Fazzo vs Italia del 7 gennaio 2014, la Corte EDU ha affermato che l’impossibilità per i genitori di attribuire al figlio, alla nascita, il cognome della madre, anziché quello del padre, integra violazione del divieto di discriminazione di cui all’art. 14 CEDU e del diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui all’art. 8 CEDU.

Il precedente del 2016, la svolta

Cinque anni fa la Corte Costituzione ha segnato una svolta epocale dando il via libera al cognome della madre dei figli nati nel matrimonio, dichiarando l’illegittimità costituzionale della disciplina che non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno.

Sappiamo, infatti, che per i figli nati in costanza di matrimonio, il legislatore prevede la presunzione di paternità del marito della madre, per cui il bambino nato da coppia sposata porterà il cognome del padre.

La sentenza n. 286 dell’8 novembre 2016 è considerata una delle pietre miliari dell’uguaglianza di genere; con questa pronuncia la Consulta ha sancito l’incostituzionalità della norma che prevedeva l’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio legittimo, affermando la possibilità, per i figli nati nel matrimonio, di prendere anche il cognome della madre, in aggiunta a quello del padre, se tra i coniugi vi è accordo.

La sentenza definisce l'impossibilità per la madre di dare al figlio il proprio cognome “un'irragionevole disparità di trattamento tra i coniugi, che non trova alcuna giustificazione nella finalità di salvaguardia dell'unità familiare” e afferma che “la previsione dell’inderogabile prevalenza del cognome paterno sacrifica il diritto all’identità del minore, negandogli la possibilità di essere identificato, sin dalla nascita, anche con il cognome materno”.

Una pronuncia, dunque, arrivata a 40 anni di distanza dalla presentazione della prima proposta di legge in materia e dopo una condanna all’Italia da parte della Corte di Strasburgo; un sollecito al legislatore di riformare “secondo criteri finalmente consoni al principio di parità” la questione dell’attribuzione del cognome ai figli, rimasto tuttavia senza seguito.


La recente ordinanza n. 18/2021

La Consulta, riunitasi il 14 gennaio 2021 in camera di consiglio, ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale della norma di cui all’articolo 262, comma 1, c.c. (che, come sappiamo, disciplina l’attribuzione del cognome del figlio nato fuori dal matrimonio) nella parte in cui non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento del riconoscimento, il cognome materno. A dare il là alla decisione, anticipata da un comunicato dell’ufficio stampa della Corte, è stata la questione sollevata dal Tribunale di Bolzano che ha chiesto alla Consulta di pronunciarsi sull’articolo 262 c.c.

La Consulta è andata oltre alle richieste del Tribunale, rimettendo a se stessa la questione di legittimità dell’articolo 262, primo comma, c.c. perché, qualora in tutti i casi in cui manchi l’accordo fra genitori venga ribadita la regola che impone l’acquisizione del solo cognome paterno, verrebbe riconfermata “la prevalenza del patronimico, la cui incompatibilità con il valore fondamentale dell’uguaglianza è stata riconosciuta, ormai da tempo, dalla stessa Corte che ha più volte invitato il legislatore a intervenire“.

Per aprire la strada alla possibilità di cambiamento la Consulta richiama, dunque, la propria precedente sentenza n. 286 del 2016.

Nelle motivazioni dell’ordinanza, depositata lo scorso 11 febbraio 2021, i giudici citano se stessi e ribadiscono che l’attuale meccanismo di attribuzione del cognome a figli nati fuori dal matrimonio “è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna”.

 La Corte evidenza come permanga una disparità fra i genitori a cui il legislatore non ha ancora posto rimedio, nonostante i ripetuti solleciti. Difatti, la disposizione in esame, nella parte in cui non consente ai genitori di trasmettere al figlio il cognome materno, crea una preclusione che si pone in contrasto con alcuni valori fondanti il nostro ordinamento, espressi fra gli altri dall’art. 2 Cost., sotto il profilo della tutela dell’identità personale, e dell’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’uguaglianza tra donna e uomo.

L’attribuzione del cognome, ad oggi:

1.    Ai figli nato fuori dal matrimonio

Ad oggi è, dunque, possibile dare il cognome materno in modo esclusivo ai figli nati fuori del matrimonio, in due casi:

  1.  sia in caso di riconoscimento effettuato da parte della madre (se la madre riconosce il figlio come     suo prima del padre, gli potrà attribuire il cognome ai sensi dell’art. 262 cc.); se la filiazione nei           confronti del padre è accertata in tempi successivi al riconoscimento da parte della madre, il figlio   può assumere il cognome del padre, che viene aggiunto o sostituito a quello della madre;​
  2. sia se il riconoscimento da parte dei genitori avviene in contemporanea, secondo l’ordinanza n 18/2021.

2. Ai figli nati in costanza di matrimonio.

Grazie alla pronuncia n. 286 del 2016, oggi la possibilità di dare al proprio figlio il doppio cognome è una realtà. E’ possibile, infatti, aggiungere il cognome della madre a quello del padre, al momento della nascita. Il cognome della madre segue dunque quello del padre.
La scelta deve essere fatta al momento della registrazione della nascita del figlio.
L’unica condizione richiesta è che ci sia il consenso di entrambi i genitori.
A cura di: Avv. Claudia Ruffilli
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