Il ricorso al Tar avviene quando il cittadino ritiene di essere stato danneggiato dalla Pubblica Amministrazione e intende fare valere i propri diritti in Tribunale. Viene emessa in ogni caso una sentenza di primo grado che può essere impugnata.
Sentiamo spesso parlare di “ricorso al Tar” durante i telegiornali, ma non abbiamo mai capito bene di cosa si tratti. In realtà è importante capire il suo funzionamento perché potrebbe esserci utile nella vita di tutti i giorni.
Infatti, si tratta di un Tribunale dedicato ai problemi che le persone hanno con lo Stato, o la Regione, o la Provincia, o il Comune, insomma con gli organi della Pubblica Amministrazione.
A volte succede che la macchina lenta e burocratica statale commetta degli errori a discapito di persone fisiche, che hanno quindi il diritto di potersi difendere per fare valere la loro posizione.
Vedremo, però, che è necessario rispettare determinate tempistiche per presentare le proprie accuse, altrimenti cade il nostro diritto e non possiamo più fare niente.
Ma procediamo con ordine, cercando di capire qual è l’ambito specifico entro il quale esercita il Tar, e in quali casi possiamo fare ricorso.
Il Tar è un tribunale amministrativo di primo grado, con sede regionale, che ha il compito di curare le problematiche tra la macchina statale e il cittadino. Succede spesso, infatti, che la PA commetta degli errori a discapito di alcuni soggetti, che hanno il diritto di fare ricorso per fare valere i propri diritti.
Ogni regione italiana ha il proprio Tribunale amministrativo, con competenze territoriali. Il più famoso è il Tar del Lazio, che si occupa anche di questioni nazionali e quindi non inerenti solamente al proprio territorio di giurisdizione.
Le varie sedi si trovano di norma nei capoluoghi di regione, ma in alcuni casi ci sono sedi più piccole anche in altre città. Ad esempio in Lombardia c’è un Tar a Milano e uno a Brescia.
Il Tar è un tribunale con il potere di emettere sentenze di primo grado, che possono:
Ovviamente prima il cittadino deve procedere con l’impugnazione dell’atto amministrativo che ritiene errato e lesivo nei suoi confronti.
Un soggetto può decidere di fare ricorso al Tar, ma non significa che la sua richiesta venga accettata: il tribunale, infatti, agisce solamente se identifica dei vizi di legittimità nel provvedimento amministrativo oggetto di impugnazione.
In particolare:
Ovviamente possiamo chiedere l’intervento del Tar solamente per questioni inerenti al diritto amministrativo. In caso di una lite tra vicini, ci dobbiamo rivolgere al giudice di pace, o in ogni caso alle normative civili.
Ci possiamo rivolgere al Tar, per esempio, se abbiamo ricevuto una multa che non riteniamo giusta, se abbiamo partecipato a concorsi pubblici che non consideriamo regolari, per una bocciatura scolastica che ci sembra illegittima. Anche se non riceviamo alcuna risposta dalla PA alle nostre richieste, magari di concessioni edilizie, possiamo scegliere di percorrere questa strada.
Per potere impugnare un atto amministrativo è necessario rispettare le scadenze imposte dalla legge.
Come tutte le questioni giudiziarie, infatti, anche il ricorso al tar ha dei limiti temporali, ed è fondamentale conoscerli per non perdere i nostri diritti.
Come prima cosa è importante distinguere due tipologie di scadenze:
Abbiamo detto che bisogna impugnare un atto amministrativo entro 60 giorni dal momento in cui è stato notificato o pubblicato. Ma cosa succede dopo?
Innanzitutto il ricorso deve essere depositato presso gli uffici della Segreteria del Tar territoriale, entro ulteriori 30 giorni, per instaurare il processo.
Nel caso in cui volessimo chiedere anche un risarcimento danni, lo dobbiamo comunicare entro 120 giorni dalla data in cui veniamo a conoscenza dell’atto.
Ci dobbiamo in ogni caso ricordare che il nostro ricorso potrebbe non venire accettato, ma se viene accolto gli effetti dell’atto in causa non svaniscono in automatico.
Solo in presenza di gravi motivi, possiamo chiedere la sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, attraverso la cosiddetta “misura cautelare sospensiva”.
Ovviamente è obbligatorio avvalersi di un avvocato e, dal momento in cui il ricorso viene depositato, possiamo dire che inizia ufficialmente il processo. Ci possono essere diverse udienze e al termine della discussione il Tar emette la sua sentenza, che si ritiene operativa da subito.
Si tratta, però, di una sentenza di primo grado, quindi, se non soddisfa le nostre richieste, abbiamo la possibilità di appellarci.
Come previsto per le cause civili e penali, anche per quelle amministrative esiste la possibilità di impugnare una sentenza di primo grado.
In questo caso è necessario rivolgersi al Consiglio di Stato, cioè il tribunale di secondo grado per il diritto amministrativo.
Il termine per presentare la richiesta è di 60 giorni dalla notifica della sentenza del Tar.
Dopo il secondo grado di giudizio, ci sarebbe un’ulteriore possibilità, ricorrendo alla Cassazione, ma solo se stiamo mettendo in discussione la legittimità giurisdizionale, magari ritenendo che il nostro caso debba rientrare nella giustizia civile e non amministrativa.
Non è possibile stabilire dei costi fissi per quanto riguarda il ricorso al Tar ma, generalmente, la spesa sostenuta dal ricorrente oscilla tra i 3500 e i 4000 euro. Questo importo potrebbe anche aumentare in base alla parcella da corrispondere all’avvocato cui il cittadino si è rivolto.
Cosa può fare il cittadino che non dispone di tale cifra? Fortunatamente tutti i cittadini che appartengono ad una fascia di reddito bassa possono usufruire delle agevolazioni: è concessa la possibilità di un patrocinio gratuito a tutti i cittadini che dichiarano di percepire redditi inferiori agli 11.528,41 euro.
Il patrocinio gratuito è disciplinato dal D.P.R. n.115/2002. Quest'ultimo, infatti, contiene le disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. Nel dettaglio, l’articolo 74 prevede che:
è assicurato il patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, perla difesa del cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate.
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