Il risarcimento per diffamazione si può ottenere dimostrando di avere subito un danno morale. Ma come si deve agire esattamente, è sufficiente la denuncia o bisogna aprire una causa civile? Scopriamolo insieme.
Al giorno d’oggi è più facile essere diffamati rispetto al passato. Il rapido sviluppo e la veloce diffusione di nuovi mezzi di comunicazione ha ampliato le possibilità di contatto tra individui in luoghi diversi, anche molto lontani tra loro, ma ha anche accentuato alcuni comportamenti negativi, considerati un reato per la legge italiana.
Risulta ovvio che una affermazione lesiva della reputazione altrui, può provocare dei danni se pubblicata su Instagram, Facebook, o scritta su Blog, dato l’elevato pubblico che può leggere l’informazione.
A questo punto la parte lesa può sporgere denuncia presso i carabinieri per fare in modo che il colpevole venga punito, ma può anche chiedere il risarcimento per diffamazione, ovvero un indennizzo per i danni morali subiti.
Prima di capire come procedere per il risarcimento per diffamazione, è importante capire esattamente in quali casi di verifica tale reato, dato che spesso viene confuso con altri illeciti che hanno implicazioni totalmente diverse.
Innanzitutto va detto che un soggetto può essere diffamato se il suo onore e la sua reputazione vengono lese, di fronte a un pubblico di almeno due persone, mentre lui non è presente per difendersi. Si tratta di un reato, quindi di una azione punibile in sede penale.
Non è determinante il fatto che le informazioni diffuse siano vere o false, in quanto sono in grado di generare il dubbio in chi le ha lette, e potrebbero generare dei danni morali all’interessato. Ad esempio scrivere che Tizio è un ladro, potrebbe avere delle conseguenze per la sua vita sociale, anche se la notizia è infondata o falsa.
Il reato di diffamazione è descritto dall’art. 595 del codice penale:
Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro.
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro.
Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro
In questa fattispecie di reato si parla quindi di reputazione, un concetto che non è facile descrivere in modo oggettivo, in quanto riguarda la considerazione che un individuo ha nell’ambiente sociale in cui vive. Si tratta di un sentimento strettamente legato all’immaginario comune di un’epoca, che può modificarsi insieme alle ideologie predominanti nella società.
La giurisprudenza italiana contempla un altro tipo di illecito che potrebbe essere confuso con la diffamazione, ovvero l’ingiuria. Nel secondo caso però, l’offesa viene fatta in presenza dell’interessato, che ha quindi la possibilità di difendersi. Proprio per questo motivo la situazione è considerata meno grave, tanto che il reato è stato recentemente depenalizzato.
Quando un soggetto viene diffamato ha la possibilità di agire penalmente, per punire il colpevole, ma anche in sede civile per il risarcimento per diffamazione.
La prima cosa da fare, senza dubbio, è la denuncia alle autorità giudiziarie per avviare il procedimento penale nei confronti del responsabile.
Non essendo un reato procedibile d’ufficio, infatti, è necessaria la cosiddetta querela di parte, ovvero una esplicita richiesta da parte della vittima.
L’art. 120 del codice penale, sottolinea che:
Ogni persona offesa da un reato per cui non debba procedersi d'ufficio o dietro richiesta o istanza ha diritto di querela.
Per i minori degli anni quattordici e per gli interdetti a cagione d'infermità di mente, il diritto di querela è esercitato dal genitore o dal tutore
La denuncia può essere fatta in forma scritta oppure orale indicando:
Il documento deve essere firmato dalla vittima, oppure dall’avvocato. Ad ogni modo è importante considerare che la denuncia deve essere presentata entro 3 mesi dal momento in cui il soggetto è venuto a conoscenza dei fatti.
Dopo la querela si avvia il procedimento penale, che prevede un’analisi approfondita delle prove fornite, e ulteriori indagini per capire cosa è successo.
La pena per i colpevoli corrisponde:
La vittima, comunque, può costituirsi anche come parte civile, per chiedere il risarcimento per diffamazione, dimostrando di avere subito dei danni morali.
La lesione della reputazione e dell’onore di un soggetto, può avere delle ripercussioni nella sua vita sociale. Probabilmente l’opinione che terzi hanno nei suoi confronti non è più la stessa in seguito alla pubblicazione di notizie diffamatorie.
Ad esempio in un luogo di lavoro una lavoratrice potrebbe non essere bene vista a seguito di un post su Facebook dove si ipotizza di una sua ipotetica relazione con il capo, oppure i rapporti con un lavoratore potrebbero cambiare dopo avere visto una sua foto intima su Instagram.
Da un punto di vista giuridico, comunque, il danno è un concetto oggettivo, nel senso che deve essere misurabile e quantificabile. Inoltre, deve essere dimostrato che esso è stato causato proprio dal comportamento illecito altrui.
Quindi per ottenere un risarcimento per diffamazione bisogna fornire delle prove in grado di dimostrare il collegamento tra il reato e i danni morali derivanti.
Sintetizzando, per chiedere il risarcimento per diffamazione è necessario dimostrare:
L’unica strada per riuscire ad ottenere il risarcimento è la causa civile, quindi il primo passo da fare è quello di affidarsi a un bravo avvocato civilista in grado di consigliare le mosse più giuste al proprio cliente.
In alcuni casi, infatti, non ci sono sufficienti prove per procedere, e un professionista onesto, impedisce al cliente di iniziare un processo lungo e senza speranze di vittoria.
I danni in giurisprudenza si possono dividere in patrimoniali e non patrimoniali. Nel primo caso essi sono ben determinabili in quanto si riferiscono a una perdita economica o a un mancato guadagno. Nel secondo caso, invece, è molto più complesso riuscire a calcolare esattamente l’importo dovuto.
Soprattutto quando si parla di danni morali, cioè inerenti alla sofferenza interiore e psicologica che un individuo è costretto a subire a causa di un illecito altrui, è complicato riusicire a stabilire la cifra dell’indenizzo.
Nel diritto non si può operare senza certezze, per questo motivo la Cassazione ha imposto dei limiti:
Risulta evidente, quindi, che non tutti i turbamenti psicologici possano essere risarciti. I semplici disagi o inconvenienti della vita quotidiana non rientrano in tale ipotesi.
In genere il giudice ricorre alla cosiddetta “equità”, cioè quando non ci sono elementi oggettivi sufficienti, valuta la situazione in base al proprio giudizio.
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