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Diffamazione a mezzo stampa: quando avviene?

La diffamazione a mezzo stampa è una lesione alla reputazione di un individuo considerata particolarmente grave in quanto si tratta di una offesa pubblica. Tale reato però entra spesso in conflitto con il diritto di cronaca e di critica, fondamentali per garantire la libertà di espressione e di opinione in un paese democratico.

Si sente spesso parlare di diffamazione, ma molto probabilmente sono in pochi a sapere esattamente quando si tratta di un reato, e quando invece le informazioni diffuse rientrano nella libertà di espressione, prevista anche dall’art. 21 della Costituzione Italiana.

Innanzitutto va precisato che un’offesa fatta direttamente alla “vittima”, sia di persona o attraverso mezzi di comunicazione fa parte di un altro oggetto giuridico, cioè l’ingiuria, che da qualche anno non è più considerata un reato nel nostro Paese, in seguito alla depenalizzazione. (D. lgs. n. 7 del 15.01.2016).

Si verte, cioè, nella fattispecie dell'ingiuria allorquando si offende l’onore o il decoro di una persona presente, anche mediante comunicazione telefonica, con scritti o disegni, diretti alla vittima.
Analogamente è a dirsi per gli insulti a mezzo social network e chat, se l’ingiuria è visibile solamente al destinatario (ad esempio, perché scritta con messaggio privato). Altrimenti, la condotta costituisce reato di diffamazione aggravata.

Un soggetto, invece, può essere diffamato solo se la sua reputazione viene rovinata mentre egli non è presente per difendersi e controbattere. In ogni caso, se le offese vengono effettuate attraverso i media, risulta ovvio che le informazioni possano raggiungere un pubblico più vasto, perciò è considerata una aggravante.

Non sempre, però, parlare male di qualcuno sui giornali è punibile penalmente in quanto in alcuni casi viene considerato un diritto di cronaca, di critica o satira, come vedremo a breve.

Il reato di diffamazione

La diffamazione è un reato previsto dal Codice Penale, punibile con la reclusione in carcere o una multa equivalente, come esplicitato dall’art. 595:

Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro.
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro.
Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.
Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate

Sostanzialmente vengono punite le offese gravi, in grado di rovinare l’onore e la reputazione di una persona. Non è sempre determinante il fatto che le informazioni siano vere o false, in quanto viene valutato il danno provocato da tale azione.

Può accadere, infatti, che al lavoro alcuni colleghi parlino spesso “alle spalle” di un lavoratore, diffondendo notizie in merito alla sua vita privata, in grado di rovinare i suoi rapporti sociali nell’ambiente lavorativo. Ad esempio dire che un marito tradisce la moglie, può avere delle conseguenze negative, anche se si tratta di una menzogna.

In ogni caso, per trattarsi di diffamazione la reputazione deve essere rovinata mentre il diretto interessato non è presente, altrimenti si tratta di ingiuria, che dal 2016 è stata depenalizzata, quindi non più considerata un reato.

Il punto cruciale per capire se qualcuno è stato diffamato è valutare se effettivamente è stata lesa la sua reputazione, intesa come un senso di dignità della persona, misurabile considerando la considerazione e la credibilità percepita da altri.

Ci può essere:

  • la diffamazione semplice, per la quale è prevista una pena di reclusione fino a un anno o una multa fino a 1.032 euro
  • la diffamazione a mezzo stampa, o comunque pubblica, aggravata dal fatto che le informazioni possono arrivare a un numero maggiore di individui, per la quale è prevista la reclusione da sei mesi a 3 anni, o una multa non inferiore a 516 euro.

La diffamazione a mezzo stampa

Abbiamo detto che la diffamazione a mezzo stampa risulta una aggravante del reato, in quanto attraverso un giornale, come il web, la radio e altri media, è possibile raggiungere un numero elevato di individui, rendendo l’informazione pubblica

Risulta ovvio che, se la notizia diffamante rimane confinata in un determinato ambiente, come può essere il luogo di lavoro, ha un certo peso, se invece viene diffusa e diventa di dominio pubblico, diventa più grave. 

Un dipendente, infatti, se non riesce più a tollerare di essere criticato o escluso dalla vita sociale in azienda a causa delle voci infamanti, può decidere di cercare lavoro altrove, per evitare di essere costantemente vittima di pettegolezzi. Se, però, la notizia è stata diffusa, è difficile riuscire a ignorare le critiche.

A tal proposito, però, va considerato che in Italia, come in tutti i Paesi democratici esiste la libertà di stampa, perciò i due concetti si trovano spesso in conflitto. L’articolo 21 della Costituzione, infatti, afferma che:

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

E’ necessario quindi comprendere entro quali limiti è tutelato il diritto all’informazione, e quando invece scatta un reato penale.

A tal proposito è necessario distinguere:

  • il diritto di cronaca
  • il diritto di critica
  • la satira

Diffamazione a mezzo stampa e diritto di cronaca

La diffamazione a mezzo stampa è un reato che inevitabilmente si contrappone al diritto di cronaca, considerando che i mezzi di informazione non possono essere controllati o censurati, per garantire la libertà di espressione, ma d’altro canto è necessario tutelare gli individui dalla diffusione di informazioni lesive della loro reputazione.

E’ inevitabile, quindi, dovere effettuare un minimo controllo su ciò che viene pubblicato a mezzo stampa sia cartacea, che virtuale.


Il diritto di cronaca, infatti, deve rispettare alcune regole fondamentali, per evitare di sfociare in un reato penale, in particolare:

  • la verità, anche putativa, della notizia: i fatti devono essere veri e le fonti attendibili, quindi non si possono pubblicare “voci di corridoio”, ma le notizie devono essere sempre verificate.

Sulla scriminante della “verità putativa” la giurisprudenza della Suprema Corte (sentenza29 ottobre 2019, n. 27592, III sezione civile) ha precisato che: <.. "quando il fatto (apparentemente vero, ma rivelatosi falso) sia stato appreso da un provvedimento giudiziario, amministrativo o un atto di indagine, pur essendo l'autore esentato dal controllo sul merito, egli è comunque tenuto a: specificare che si tratta di fatti riferiti da terzi e non direttamente a lui noti; dimostrare onestà intellettuale, non tacendo altri fatti di cui sia a conoscenza tanto astrattamente collegati a quello riferito da mutarne completamente il significato ; non alimentare interpretazioni equivoche solleticando "la pancia" del lettore, ossia non accompagnare la cronaca del fatti con “sollecitazioni emotive, sottintesi, accostamenti, insinuazioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore false rappresentazioni della realtà”; tener conto della potenziale diffusività del mezzo di comunicazione utilizzato, nel senso che il grado di diligenza richiesta nella valutazione della fonte sarà direttamente proporzionale alla diffusività del mezzo comunicativo utilizzato>.

A questo riguardo la Corte ha precisato che allorquando trattasi di un sito web, come tale dotato di maggior capacità diffusiva della notizia e, pertanto, di maggior potenzialità offensiva, in caso di suo utilizzo la diligenza richiesta sarà massima.

Ciò posto ha enunciato il seguente principio di diritto:

<l'esimente della verità putativa dei fatti narrati, idonea ad escludere la responsabilità dell'autore d'uno scritto offensivo dell'altrui reputazione, sussiste solo a condizione che: 

a) l'autore abbia compiuto ogni diligente accertamento per verificare la verosimiglianza dei fatti riferiti; b) l'autore abbia dato conto con chiarezza e trasparenza della fonte da cui ha tratto le sue informazione, e del contesto in cui, in quella fonte, esse erano inserite; c) l'autore non ha sottaciuto fatti collaterali idonei a privare di senso o modificare il senso dei fatti narrati; d) l'autore, nel riferire fatti pur veri, non abbia usato toni allusivi, insinuanti, decettivi>.

  • la continenza: una notizia vera può essere considerata diffamatoria se viene raccontata con parole poco adeguate, non è possibile quindi comunicare con disprezzo, insultando qualcuno.

Ancora la Suprema Corte con sentenza citata (n. 27592/2019) ricorda che "la forbitezza del linguaggio lungi dall'essere garanzia di continenza verbale, può essa stessa trasformarsi in strumento d'offesa attraverso il "sottinteso sapiente, l'accostamento suggestionante, il tono sproporzionatamente sdegnato o scandalizzato, la drammatizzazione artificiosa”. La notizia viene ad essere in tal modo riferita con un effetto molto più dirompente di quello ottenibile attraverso uno scritto apertamente offensivo, cosicché <mentre questo solletica il riso, quello suscita il dubbio che, molto più del primo, corrode la reputazione di chi ne sia investito"

  • la pertinenza: sebbene un fatto sia realmente accaduto, deve essere raccontato solamente se rappresenta una questione di interesse pubblico. A tal proposito la giurisprudenza non delinea dei confini netti tra ciò che è lecito o meno diffondere. Pensiamo ad esempio al gossip, conoscere la vita privata e i tradimenti di personaggi famosi è davvero di interesse pubblico?
  • l’attualità: gli avvenimenti devono essere recenti, non è lecito riportare alla luce storie vecchie, senza un reale interesse. In questo caso, infatti, non viene rispettato il cosiddetto diritto all’oblio, cioè il desiderio di venire dimenticati.

Diritto di critica e satira

La questione è leggermente diversa quando si tratta del diritto di critica, cioè la possibilità di raccontare dei fatti in modo del tutto personale e soggettivo, esprimendo un proprio giudizio, che ovviamente non può essere neutrale e obiettivo.

La diffamazione a mezzo stampa, in questo caso si verifica se non vengono rispettate:

  • la pertinenza 
  • la continenza

Quindi, un giornalista può esprimere la propria opinione e interpretazione del tutto personale dei fatti, senza però utilizzare un linguaggio troppo offensivo. Ovviamente la notizia deve essere sempre di interesse pubblico. Non è possibile criticare un privato cittadino se non si tratta di una vicenda che può interessare la collettività.

La satira è sostanzialmente una forma estrema di critica, fatta utilizzando l’ironia, quindi con modalità pungenti. 

Si tratta di un’espressione artistica che può sottrarsi all’obbligo della verità, ma deve in ogni caso rispettare la continenza, quindi evitare di esagerare con il lessico utilizzato, o con le immagini pubblicate.

In pratica la satira ha l’obiettivo di suscitare delle reazioni, di fare ragionare i lettori, quindi per sua natura può essere offensiva e provocatoria, ma non devono mai essere superati determinati limiti.

La Suprema Corte, sul punto, ha statuito: "La satira costituisce una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica, sicché, diversamente dalla cronaca, è sottratta all’obbligo di riferire fatti veri, in quanto esprime mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su di un fatto, pur soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito. Conseguentemente, nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato (Cassazione civile sez. III, 22/11/2018, n.30193).

Di estremo interesse, da ultimo, è, in materia di diffamazione aggravata, il Digital Service Act ossia il nuovo regolamento sui servizi digitali, approvato dal Parlamento Europeo il 5 luglio 2022.

Il nuovo regolamento velocizza, infatti, le procedure per la rimozione dei contenuti illegali e migliora il controllo pubblico sulle piattaforme online, soprattutto su quelle più diffuse, consentendo così di contrastare, in particolare, la diffusione di contenuti illegali, la manipolazione delle informazioni, la disinformazione online onde offrire una tutela più immediata ed efficace a chi sia stato oggetto di diffamazione aggravata attraverso l'utilizzo delle predette piattaforme.

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