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Carichi pendenti: significato e caratteristiche

I carichi pendenti rappresentano i procedimenti penali ancora in atto, che coinvolgono una data persona, un imputato, non ancora considerato colpevole. Non si devono confondere con il casellario giudiziario, cioè il certificato penale che descrive eventuali provvedimenti di condanna definitiva.

In determinate situazioni è importante sapere se un soggetto ha avuto problemi con la Giustizia. In modo particolare un datore di lavoro, prima di assumere un dipendente, potrebbe controllare se nel suo passato ci sono stati dei comportamenti illeciti. 

Bisogna però fare un distinzione tra le condanne definitive e i procedimenti, volti solo ad accertare determinate situazioni. Nel nostro Paese, infatti, esiste la cosiddetta “presunzione di innocenza”, fino al momento della sentenza finale.

Quindi, un imputato può essere discriminato per il processo che sta affrontando? Se decide di trovare un lavoro, potrebbe avere dei problemi? Quando è legittimo richiedere il certificato dei carichi pendenti?

Cosa sono i carichi pendenti?

Con il termine “carichi pendenti” vengono indicati i procedimenti penali in atto, inerenti ad un determinato individuo. Non si fa riferimento, perciò, alle sentenze definitive e irrevocabili, o alla fase di indagini preliminari, durante le quali il soggetto è un indagato, ma alla fase processuale, in cui esso diventa un imputato a tutti gli effetti.

La polizia giudiziaria, infatti, effettuando le indagini preliminari, cerca delle prove a supporto della colpevolezza del soggetto, ma se non sono sufficienti, non sarà possibile procedere con il processo in Tribunale. Soltanto una volta individuati degli indizi validi, si può parlare di imputato, e di carichi pendenti.

Gli interessati possono fare una esplicita richiesta per ottenere il certificato che indica tali informazioni. Ad esempio un datore di lavoro potrebbe informarsi in tal senso prima di assumere un dipendente, anche se non è sempre legittimo, come vedremo.

Il documento viene rilasciato dall’ufficio del casellario giudiziale, presso la Procura della Repubblica del Tribunale competente sul luogo di residenza del soggetto.

I carichi pendenti, comunque, si riferiscono anche a irregolarità fiscali che si possono verificare chiedendo le informazioni all’Agenzia delle Entrate.

In generale, possiamo dire quindi che si tratta di definire i gravami in attesa di definizione, quindi procedimenti penali, giudizi di impugnazione, o contenziosi con il Fisco.

Il certificato può essere chiesto anche online, i tempi di attesa per ottenerlo sono generalmente di 30 giorni, ed è valido per 6 mesi.

Spesso viene confuso con il certificato penale, o casellario giudiziale, che descrive invece le sentenze di condanna definitive.

Ad ogni modo non vengono mai indicati:

  • provvedimenti del giudice di pace;
  • condanne per contravvenzioni punibili con l’ammenda;
  • sentenze di condanna che prevedono il beneficio della non menzione.

Chi può richiedere il certificato dei carichi pendenti?

Dopo avere visto cosa sono i carichi pendenti, è importante capire in quali casi può essere richiesta la certificazione in grado di descriverli, e chi sono i soggetti legittimati a farne richiesta.

In particolare gli interessati potrebbero essere:

  • l’imputato stesso o una persona delegata;
  • pubbliche amministrazioni, se il documento è indispensabile per l’espletamento di certe funzioni;
  • difensore della parte lesa e del testimone.

In ogni caso, per farne richiesta presso il Tribunale o presso l’Agenzia delle Entrate, è necessario fornire una copia di un documento di identità valido.
Si può utilizzare un apposito modulo presente nelle procure o nel sito web del Ministero della Giustizia, indicando a quale uso è destinato il documento.

cittadini extracomunitari, devono presentare il passaporto o un copia del permesso di soggiorno.

Ci sono poi i seguenti casi particolari:

  • per i minorenni la richiesta va presentata dai genitori, fino al compimento dei 16 anni;
  • per gli interdetti, la domanda va fatta dal tutore;
  • chi risiede all’estero può delegare qualcuno o fare la domanda per posta.

Autocertificazione 

Dal 2012 l’interessato può fornire una autocertificazione per dichiarare di avere o non avere procedimenti penali in corso. In pratica, il soggetto può attestare la situazione, sotto la propria responsabilità.

Quindi, se per partecipare a un concorso pubblico, è necessario presentare la certificazione dei carichi pendenti, è possibile fornire una autocertificazione. 

Si tratta di una modalità prevista dal legislatore per evitare di intasare la Pubblica Amministrazione con troppe richieste, e per consentire ai cittadini di non perdere tempo in troppa burocrazia, che troppo spesso blocca il nostro Paese.

Un individuo, perciò, ha il diritto di potere dichiarare personalmente di avere o meno dei processi penali in corso. In molti casi, infatti, informazioni di questo tipo vengono chieste quando si cerca lavoro, ed è importante fornire delle risposte in breve tempo, per evitare di essere “superati” da altri candidati.

Ovviamente l’ente che richiede il documento può sempre verificare la veridicità dei dati comunicati. Dichiarare il falso è considerato un reato, punibile secondo quanto previsto dall’art. 495 del codice penale:

Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni.​La reclusione non è inferiore a due anni:
1) se si tratta di dichiarazioni in atti dello stato civile [483 2, 567 2; 449];
2) se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa all’autorità giudiziaria da un imputato o da una persona sottoposta ad indagini, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale [c.p.p. 603] una decisione penale viene iscritta sotto falso nome.

La dichiarazione sostitutiva ha lo stesso valore dell’atto originale, quindi ha la stessa validità temporale di sei mesi.

Il datore di lavoro può fare la richiesta?

Al giorno d’oggi trovare lavoro può essere molto complicato, spesso non è sufficiente avere dei buoni titoli di studio, ma bisogna dimostrare anche di essere persone incensurate.

Ma il datore di lavoro è legittimato a chiedere il certificato dei carichi pendenti?

La questione è un po’ complessa, dato che nel nostro Paese vale la presunzione di innocenza, fino al momento della sentenza definitiva. Essere imputato non implica essere responsabile di avere commesso un reato, perciò tale situazione non può avere conseguenze negative per l’interessato, almeno non sempre.

La Corte di Cassazione si è esposta in tal senso con la sentenza n. 1901272018, con la quale ha descritto essere illegittima la pretesa del datore di lavoro di esibire questa certificazione, se non espresso dal Contratto Nazionale di riferimento. 

In pratica l’azienda può chiedere il certificato penale, in quanto indica effettive condanne, ma non quello inerente ai processi in corso, se non in alcune situazioni particolari.

L’art 27 della Costituzione infatti afferma che:

La responsabilità penale è personale [40 ss. c.p.].​L'imputato [60 ss. c.p.p.] non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

Ma cosa può fare un soggetto se non viene assunto per carichi pendenti? Dato che si tratta di un atteggiamento non concesso dalla legge, l’interessato può fare ricorso al giudice del lavoro per fare valere i propri diritti.

Prima di agire, però, è importante leggere con attenzione il contenuto del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, dato che per alcuni posizioni lavorative è necessario non essere nemmeno imputati.

Invece, la richiesta del certificato penale, casellario giudiziario, è sempre legittima, dato che si riferisce a condanne definitive.

​Quanto costa il certificato?

Quali sono i costi previsti per il rilascio del certificato dei carichi pendenti? Per ciascun documento richiesto sono previsti i seguenti pagamenti:

  • €3,87 per diritti di certificato;
  • € 16 per bollo. Occorre una marca da bollo ogni due pagine;
  • ulteriori € 3,87 per diritti di urgenza se il documento è richiesto con rilascio nella stessa giornata.
In alcune circostanze, tuttavia, suddetta certificazione può essere rilasciato gratuitamente, ossia con l'esenzione del pagamento del bollo e dei diritti di certificato. Tale agevolazione è prevista quando il certificato è richiesto, tra gli altri:
  • per essere esibito nelle procedure di adozione, affidamento di minori (art. 82 L.184/83);
  • per essere esibito nelle controversie di lavoro, previdenza ed assistenza obbligatorie (art. 10 L. 533/73);
  • per essere esibito in un procedimento nel quale l’interessato è ammesso a beneficiare del gratuito patrocinio (art. 18 D.P.R. 115/2002);
  • per essere unito alla domanda di riparazione dell’errore giudiziario (art. 176 disp. att. c.p.p.).

Il lungo elenco dei casi in cui è prevista la sola esenzione dal bollo è contenuto nel D.P.R. 642/72. Nel caso in cui si abbia diritto all'esenzione dal pagamento del bollo, o dei diritti di certificato, è necessario produrre idonea documentazione che provi tale diritto.

Milleproroghe e carichi pendenti

Nel 2022 l'emendamento al Milleproroghe ha sancito la possibilità di beneficiare della rateizzazione delle caselle scadute, diventando così uno dei provvedimenti maggiormente apprezzati dai cittadini.
Per il pagamento a rate, introdotto ad inizio pandemia da Covid19 dal Governo Conte, il beneficio fa riferimento ai piani rateizzati per i quali sia sopravvenuta la decadenza dal beneficio prima dell’8 marzo 2020,
Per i cittadini contribuenti di Lombardia e del Veneto si tiene fede alla data del 20 febbraio 2022, facendo fede l'inizio della zona rossa per la pandemia.

In ogni caso l'emendamento ha come obiettivo quello di dilungare i tempi di pagamento per andare incontro a tutte le aziende e a tutti i contribuenti in situazione di crisi dovuta all'emergenza sanitaria. 
Sarà possibile presentare nuova domanda per ottenere la dilazione del pagamento fino al 30 aprile 2022.

​Fonti normative:

  • ​articolo 27 della Costituzione;
  • articolo 495 del Codice penale;
  • articolo 46 del D.P.R. 642/72
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