Le vessazioni sul lavoro sono atti ostili compiuti dal datore di lavoro o dai colleghi con lo scopo di sminuire un soggetto provocando risvolti negativi per la sua carriere e salute. E’ importante riconoscere tali comportamenti e difendersi per evitare che diventino più gravi.
Al giorno d’oggi si parla spesso di quanto sia difficile trovare una buona occupazione, soprattutto a seguito della forte crisi economica che ha colpito anche il nostro Paese. Ma cosa accade quando sul luogo di lavoro un individuo viene preso di mira dai colleghi oppure offeso costantemente dai superiori o dal capo?
Troppo spesso i dipendenti, per la paura di perdere la propria occupazione, non si difendono subendo in modo continuo vessazioni e atteggiamenti ostili in grado di causare danni alla loro vita.
Rimanendo in silenzio, in un certo senso, si legittima il colpevole a reiterare i comportamenti, anzi a peggiorarli con il tempo. È di fondamentale importanza, quindi, riconoscere situazioni di questo tipo e cercare di tutelare i propri diritti, prima che l’illecito possa sfociare in un reato di stalking, come vedremo.
Prima di analizzare le varie possibilità per difendersi, è opportuno descrivere quali sono i comportamenti pericolosi che, se reiterati, possono causare danni ai soggetti.
Con il termine mobbing si fa riferimento a una serie di atteggiamenti ostili e prolungati nel tempo che il datore o i colleghi compiono nei confronti di un individuo.
Tali soprusi hanno inevitabilmente delle conseguenze negative sulla carriera ma anche sulla vita privata della vittima.
La Corte di Cassazione ha elencato una serie di elementi per riuscire a distinguere quando le vessazioni sul lavoro diventano effettivamente mobbing:
Se si verificano le ipotesi che abbiamo appena evidenziato, è opportuno agire tempestivamente per difendersi, onde evitare che il tutto peggiori ulteriormente.
Ad ogni modo non è sempre facile riconoscere il mobbing e ci vuole molto coraggio per agire contro il proprio titolare. Nelle prossime righe proveremo a sottolineare l’importanza di tutelare i propri diritti, anche quando sembra essere troppo difficile o complicato.
Se, ad esempio, il principale toglie alcune mansioni importanti ad un soggetto senza delle valide motivazioni, per umiliarlo e farlo sentire inadeguato, o lo costringe a svolgere attività di livello inferiore rispetto a quello stabilito nel contratto di assunzione, bisogna tenere gli occhi aperti perché si tratta di campanelli d’allarme. Ovviamente non si deve trattare di situazioni temporanee, magari per sostituire momentaneamente una posizione rimasta scoperta, ma di consuetudini.
Lo stesso discorso vale per quanto riguarda l’emarginazione del dipendente attuata dai colleghi, diffondendo maldicenze, critiche, e mettendo in atto una persecuzione sistematica.
In un clima ostile, infatti, il dipendente non ha la possibilità di esprimersi liberamente per fare decollare la propria carriera, con ripercussioni anche nella vita privata.
Le vessazioni sul lavoro, definite mobbing o nei casi più gravi stalking, sono estremamente penalizzanti e frequentemente spingono la vittima a compiere scelte drastiche come rassegnare le proprie dimissioni.
Tutto ciò non è ammissibile, dato che nella costituzione stessa vengono menzionati tra i diritti fondamentali dell’individuo la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro.
Gli atteggiamenti offensivi possono essere considerati mobbing se protratti nel tempo e caratterizzati dall’obiettivo di emarginare ed escludere la vittima.
La giurisprudenza italiana considera come illeciti i comportamenti:
Si tratta di atteggiamenti lesivi della salute, non solo in senso fisico ma anche psicologico, dato che viene intaccata la dignità del lavoratore.
Bisogna ricordarsi che, il benessere psico-fisico del lavoratore è espressamente tutelato nella Costituzione Italiana, ma anche dall’art. 2087 del codice civile:
L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro [Cost. 37, 41]
Ad ogni modo, l’assenza di una definizione normativa specifica per definire le azioni che sfociano nel mobbing, rende difficile identificare tali atteggiamenti. Comunque, se le violenze psicologiche si verificano con frequenza, è importante agire.
Se il comportamento è tenuto dal datore stesso si parla di bossing, e riguarda soprattutto umiliazioni attuate con un demansionamento o lasciando inattivo un lavoratore per farlo sentire inutile. Oppure ci possono essere continue critiche, insulti e diffamazioni.
Dovere svolgere compiti ripetitivi e umilianti, nonché subire controlli eccessivi, può essere molto pesante e alla lunga potrebbe causare problemi di autostima e depressione, perciò non vanno sottovalutati.
Va sottolineato, comunque, che il datore è responsabile anche quando le vessazioni sono compiute da altri dipendenti, dato che rientra tra i suoi compiti garantire un ambiente lavorativo adeguato, rimuovendo eventuali elementi di disagio.
Forse la forma più comune di mobbing, è quella effettuata da parte dei colleghi. Ciò avviene soprattutto a causa di gelosia, invidia, o per la paura che un soggetto più preparato possa mettere in pericolo le posizioni lavorative di altri.
Ma non solo, a volte le discriminazioni possono essere attuate per motivi etnici, religiosi, di orientamento sessuale, ecc.
Si tratta di comportamenti pericolosi che possono causare dei gravi danni, soprattutto psicologici alla vittima. Un dipendente trascorre diverse ore della propria giornata con i colleghi ed è evidente che sentirsi continuamente escluso ed emarginato, se non offeso e deriso, può causare stati d’ansia, preoccupazione e depressione.
La prima cosa da fare, quindi, è quella di denunciare la situazione al proprio responsabile, che ha il dovere di agire per rimuovere tutto ciò che impedisce di lavorare serenamente.
In caso contrario quest’ultimo verrà considerato responsabile della situazione, in un eventuale processo per chiedere il risarcimento dei danni.
Come anticipato nei paragrafi precedenti chi è vittima di vessazioni sul lavoro deve agire, per evitare che la situazione peggiori ulteriormente. Il silenzio, infatti, in qualche modo legittima il responsabile a reiterare il suo comportamento.
Ma cosa si può fare esattamente?
Come primo passo è possibile scrivere una lettera di diffida, e inviarla come raccomandata a/r al diretto interessato, per fare capire la volontà di agire per bloccare la situazione. Tale azione può essere maggiormente incisiva se effettuata da un avvocato civilista.
Se la via stragiudiziale non riesce a dare i risultati sperati, è sempre possibile citare il soggetto in giudizio, per avviare una causa civile e chiedere il risarcimento dei danni. A tal proposito, però, è necessario procurarsi delle prove per dimostrare la situazione. Attenzione però ad effettuare registrazioni sul luogo di lavoro, in quanto è espressamente proibito dalla legge che tutela il diritto alla riservatezza nei luoghi privati, tra i quali rientra anche l’ambiente lavorativo.
Le vessazioni sul lavoro possono sfociare in un reato di atti persecutori, ovvero stalking se le condotte varcano i confini dell’ambiente lavorativo per introdursi nella vita privata della vittima.
In questo caso il soggetto può sporgere denuncia alle autorità competenti, quindi polizia, carabinieri. Se attraverso le indagini preliminari vengono trovati elementi sufficienti per agire, il responsabile subirà un processo penale.
Come abbiamo visto, i comportamenti vessatori ai danni di un lavoratore possono essere molteplici e sotto molteplici forme. Di seguito alcuni esempi:
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